Diario di bordo

Condoglianze, Donald

Immagine tratta dal libro "Shock politics. L'incubo Trump e il futuro della democrazia" di Naomi Klein, Feltrinelli, 2019

Immagine tratta dal libro "Shock politics. L'incubo Trump e il futuro della democrazia" di Naomi Klein, Feltrinelli, 2019

Mercoledì 16 novembre

Dal nostro inviato a San Francisco, Enrico Deaglio

Ce ne sarebbe stato da raccontare oggi; dalle feste di Kherson liberata all’ennesimo crimine dell’ennesimo bombardamento russo in Ucraina; fino al G20 di Bali sconvolto dalle notizie sui missili in Polonia... C’era tutto il mondo a Bali, esclusi quelli che la storia ha trascinato via e Putin, che sta per essere trascinato.

E poi non c’era Donald Trump, che evidentemente non si capacitava che tutte queste cose potessero accadere senza di lui, e proprio nel giorno in cui aveva programmato un grande annuncio alla nazione; a dimostrazione che certe volte le messe in scena falliscono, anche se preparate da professionisti.
Se ci pensate, nessuno si aspettava che The Crown numero 5 crollasse di schianto, dopo essere stato il miglior programma TV in grado di narrare la storia contemporanea.

Nonostante tutti lo avessero sconsigliato, specie dopo l’ultimo disastro elettorale, l’ex presidente Donald Trump ha voluto dare l’annuncio della sua candidatura alle presidenziali americane del 2024, pur essendo inseguito da inchieste giudiziarie sui soldi rubati e dallo scandalo di aver ordito un colpo di stato pur di mantenere il potere (molti dicono che lo fa proprio per quello, per passare da vittima). Non lo ha fatto con una “adunata oceanica”, ma con una mesta riunione di cortigiani e prosseneti del suo castello di Mar-a-Lago, triste e imbarazzante.
A sentirlo non sono nemmeno venuti due dei suoi figli, Ivanka (“ho i bambini da tenere”) e Donald jr. (“ho perso l’aereo”)

The Don, bolso e senza energia, ha parlato con voce monotona per più di un’ora, perdendo il filo, ripetendosi, sbagliandosi, non accorgendosi probabilmente di quello che diceva.
I temi erano i soliti, io sono stato il migliore, io vi ho fatti ricchi, con me l’America era una favola, adesso è un pozzo di sangue, di criminali e di narcos (applausi, ma stanchi).
È arrivato persino a dire che per i trafficanti di droga ordinerà il “quick trial”, come fanno in Cina: processo al mattino, esecuzione nel pomeriggio.
Qui, fortunatamente non è partito neppure un applauso, ma lui non se n’è accorto.

È sempre un disagio commentare questi avvenimenti, gli impossibili ritorni in politica, come nello sport; vien sempre voglia di usare parole di comprensione.

Mi sono ricordato di un breve racconto di Borges.
Borges odiava il dittatore Peron, per la sua violenza e la sua volgarità. Quando sua moglie Evita morì di cancro a 33 anni, nel 1952, fu un trauma collettivo per l’Argentina, che il generale si affrettò a sfruttare; scivolò nella senilità e nella pazzia, fino a quando il peronismo fu rovesciato da un colpo di stato militare.

Borges raccontò la breve storia di un ragazzo che si era vestito a lutto e aveva aperto la sua casupola, mettendo sul tavolo della cucina una scatola di cartone che conteneva una bambola bionda, bionda come Evita. La gente si metteva in fila per vederla, poi si voltava verso il ragazzo compunto e gli sussurrava “Condoglianze, generale”. Lui rispondeva con un inchino.

Un po’ come ieri al castello di Mar-a-Lago.

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