Diario di bordo

Finale di partita all'americana

Lunedì 7 novembre

Dal nostro inviato a San Francisco, Enrico Deaglio

Se fosse un finale di partita, a seconda del telecronista, sarebbe da batticuore, convulso, interminabile. E aperto a ogni beffa. Ma sono elezioni, e nelle elezioni, le beffe non sono previste.

Stiamo parlando del midterm americano, che già ora ha battuto parecchi record. Il primo è la quantità di miliardi che sono piovuti nelle due campagne elettorali, senza precedenti – si parla di un centinaio di miliardi, di cui molti molto opachi. Il secondo è il numero di cittadini che ha già votato, di persona o per posta: arriveranno, prima di martedì a 45 milioni, più di un terzo dell’elettorato. In genere sono i democratici che votano prima, ma questa volta anche i repubblicani hanno imparato; di certo gli istituti di sondaggio non sono preparati a gestire queste cifre.

Il midterm è l’elezione che rinnova Camera e Senato, a metà del mandato del presidente in carica.
Nella storia, il midterm quasi sempre ha punito il presidente in carica, in parte perché l’affluenza alle urne è minore che per le presidenziali, in parte perché tutti in campagna elettorale promettono molto e poi segue un’immancabile delusione. Se il presidente (in questo caso Biden, ma in tempi recenti è successo anche ad Obama, a Bush e a Clinton) non controlla più camera e senato, diventa un’anatra zoppa; ovvero può fare molto di meno di quanto vorrebbe.

Le cose sarebbero andate così anche in questo midterm, se non fosse per due terremoti.
Il primo è venuto dalla Corte Suprema che ha abolito il diritto all’aborto, suscitando la mobilitazione delle donne americane, che si è tradotta anche in un aumento della registrazione al voto per i democratici. La seconda è la ferita del 6 gennaio, ferita non certo sanata e alla quale Trump ha risposto con una incredibile presa di potere all’interno del partito repubblicano.
Ha imposto i suoi candidati, spesso figure impresentabili, ma comunque una bella massa di persone molto ben finanziate. Almeno 350 candidati a posti di deputato, senatore, governatore dichiarano aperetamente che Biden è un usurpatore, che il 6 gennaio era legittimo, con tutto quello che consegue.

E così queste elezioni sono diverse, anche perché sono le prime post Covid e con una guerra in Europa in corso.
In estate, sotto lo shock della decisione sull’aborto, c’è stata una forte spinta dei democratici. In autunno, per l’inflazione, le minacce di recesssione, l’aumento dei tassi di interesse, il favore è tornato verso i repubblicani. I sondaggi sono impazziti, le parole d’ordine sono cambiate. Biden è sceso direttamente in campo: rischiamo la fine della democrazia, ha detto, definendo il movimento di Trump, “semi-fascista”. I repubblicani hanno risposto agitando lo spettro dell’anarchia, del crimine, dell’immigrazione.

Dieci giorni fa, a San Francisco – la città più liberal d’America – il signor Paul Pelosi, 82 anni, marito di Nancy Pelosi (la democratica più nota d’America e la più odiata dai repubblicani, che la vorrebbero morta), è stato colpito ripetutamente da un intruso nella sua casa con un martello sul cranio. Operato d’urgenza, si spera possa recuperare.
Ebbene, i maggiori esponenti repubblicani lo hanno sfottuto, il figlio di Trump ha postato il suo volto con impressa una falce e martello. Un martello, appunto.

Questo il clima, che ha portato Obama, Biden e anche Trump sulle piazze in un finale convulso di campagna elettorale.
Obama sempre grande oratore. Il voto delle donne, grande mistero.
Davvero si dimeticheranno dell’aborto e voteranno repubblicano indignate perché il barattolo di Campbell è aumentato di 27 centesimi?

Avvertenza: non aspettatevi risultati certi nella giornata elettorale. Ci vorranno parecchi giorni per stabilire che cosa è successo.
E per sapere se Trump potrà di nuovo correre per la presidenza, se il 6 gennaio sarà punito dalla legge, se l’America continuerà ad essere l’arsenale della democrazia per l’Ucraina invasa da Putin.

Parecchi giorni. Non come in Brasile, paese in cui i risultati sono arrivati subito e non sono stati contestati.
L’America, in campo di democrazia elettorale, ha molto ancora da imparare. Dal Brasile, per esempio

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