Lubo racconta di un uomo che vive facendo l'artista di strada fino a che non viene richiamato nell'esercito e da lì la sua vita viene stravolta, attraverso l'imposizione di regole e comportamenti che non corrispondono al suo spirito libero, ma anche perché viene a sapere che i suoi figli sono stati portati via e da lì inizia un suo percorso di reazione
Una videointervista realizzata in collaborazione con MyMovies.
Lubo vive in strada. Lubo balla dentro un costume da orso. Lubo viaggia su una carovana. Lubo è libero. Lubo è uno zingaro. Anzi, un Jenisch.
Chi sono i Jenisch ce lo racconta Giorgio Diritti nel suo ultimo, splendido film. Lubo, appunto.
Nubi nerissime si addensano sull'Europa del 1939. In Svizzera serpeggia il timore di una prossima invasione ad opera della Germania di Hitler.
Fra i tanti che saranno precettati dall’esercito elvetico per difendere i confini nazionali, c'è anche Lubo, un artista di strada, saltimbanco che assieme alla sua famiglia percorre le strade e le piazze di un Paese che sta cambiando.
Poco tempo dopo essere stato arruolato coattamente, Lubo scoprirà che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di prendere i loro tre figli.
I bambini sono stati strappati alla famiglia in quanto Jenisch, come previsto da un infame programma di "rieducazione nazionale per i bambini di strada" ("Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse"). A partire da quel momento, una metamorfosi si produce in Lubo, che vuole a tutti i costi ritrovare i suoi figli e ottenere giustizia per la sua storia.
La tragica storia di un uomo vittima e artefice del proprio destino. Un romanzo che fa riecheggiare l’idea di colpa e destino tra le righe di una narrazione scarna e potentissima.
Il romanzo Il Seminatore di Mario Cavatore, cui il film di Diritti è liberamente ispirato, siu presenta con un incipit inequivocabile, che ci fa percepire appieno l'atmosfera del contesto storico narrato: “gli zingari sono sempre stati un problema”.
La paura del diverso e la prevaricazione sulle etnie meno rappresentate sono tuttora una questione irrisolta (anzi, si può dire che da questo punto di vista Lubo offra agli spettatori uno specchio dei tempi abbastanza impressionante).
"La lettura del romanzo", racconta Diritti, "mi ha svelato una vicenda storica poco conosciuta di persecuzione nei confronti di una minoranza nomade cui vennero sottratti i figli al fine di “rieducarli” in un periodo storico compreso tra gli anni ‘30 e gli anni ‘70. Le stime sulle ricerche parlano di circa 2000 bambini. Ciò mi è apparso inquietante e particolarmente stridente per un paese democratico e civile come la Confederazione Elvetica, sovente citata come “esempio virtuoso” nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni. Mi sono chiesto, cosa avrei fatto, come avrei agito subendo una violenza così grande".
Nell'intervista che Diritti ci ha concesso, scopriremo dunque alcuni aspetti della genesi letteraria del film, ma anche molto delle usanze e dello spirito di un popolo del quale sappiamo poco.
Attraverso le interpretazioni sensibili e intense di Franz Rogowski e di Valentina Bellé, entreremo in contatto con una grande rimozione storica - quella relativa alla persecuzione degli Jenisch - per la quale è venuto il momento di una riparazione collettiva. E Lubo resterà, come una di quelle opere dalla gestazione sofferta (sentite quel che Diritti ha da dire, nel merito) il cui risultato trascende e supera i singoli contributi che hanno concorso a renderne possibile la realizzazione.
Qualche cenno storico:
Il popolo Jenisch rappresenta la terza maggiore popolazione nomade europea, dopo i Rom ed i Sinti.
Di origine germanica, sono presenti in molti paesi dell’Europa, tra cui Germania, Svizzera, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Italia, e hanno una propria lingua.
Nel 1921 venne fondata in Svizzera la Pro Juventute, una fondazione filantropica creata con l’intento di sostenere i diritti e le esigenze dei bambini.
Tra il 1926 e il 1973 la Pro Juventute mise in atto in Svizzera una campagna di ispirazione nazionalista denominata «Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse» (Opera di soccorso per i bambini della strada). Secondo i parametri applicati dalle autorità nel primo ‘900, i nomadi erano considerati pericolosi e da tenere a bada con metodi repressivi.
Il programma attuato dalla Pro Juventute e finanziato dalla Federazione Elvetica, da benefattori e da industriali, aveva il fine di rieducare i figli dei nomadi e di combattere il fenomeno del nomadismo. Di fatto la campagna consistette in una politica di allontanamento forzato di bambini appartenenti al gruppo Jenisch dai propri genitori.
Con il sostegno delle autorità svizzere i bambini Jenisch vennero sistematicamente sottratti alle loro famiglie e collocati in case, famiglie affidatarie, orfanatrofi, istituti psichiatrici e persino prigioni. Molti di loro subirono violenze e furono sfruttati come manodopera a basso costo, numerose ragazze vennero sterilizzate.
Non si conosce il numero esatto dei bambini coinvolti nel programma, che oscilla tra i 585, certificati dagli archivi della Pro Juventute, in gran parte tenuti segreti per decenni, e i 2000 stimati.
Il programma verrà interrotto solo nel 1973.
Che cinema, maestro!
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