Sapore di sala

Franco Zeffirelli, un campione di estetica, sentimento e botteghino

Illustrazione di Cassandra Stirbu, 2023, studentessa del Liceo artistico Volta di Pavia. Tecnica mista

Illustrazione di Cassandra Stirbu, 2023, studentessa del Liceo artistico Volta di Pavia. Tecnica mista

Ho conosciuto Franco Zeffirelli, era il 2007. Un editore mi aveva chiesto di scrivere un libro su di lui. Un mio conoscente, e amico dell’artista, organizzò l’incontro e così andammo a casa Zeffirelli, che non è proprio sull’Appia Antica, ma in via Volumnio, parallela. Le case della Lollobrigida (ne parliamo qui) e di Valentino sono lì, a due passi.

Proprietario della casa era Berlusconi, che, morto l’occupante, se l’è ripresa. Quell’ambiente era un crogiuolo, un caleidoscopio di artista che ha frequentato quel mondo, e quella gente al massimo livello. Un’invasione di reperti e di immagini. In sintesi: ricordo il pianoforte con sopra le foto dei maggiori eroi del cinema, dalla Callas a Visconti, Ingrid Bergman, Ava Gardner, Sophia Loren, Bette Davis, Liz Taylor. Tutte con relativa dedica. Ma un volto in particolare mi incuriosì, quello di Bob Kennedy. «Era un grande uomo» mi disse Zeffirelli «poteva davvero cambiare le cose». Qualcosa di lui certo sapevo e così fu positivo, raccontava volentieri. Saresti stato dei giorni interi a sentire quel toscano brillante e travolgente.

Comunque, non scrissi il libro perché ne uscì uno su di lui proprio in quel periodo.

Come sempre lo spazio mi consente le solite sintesi. I temi dei film di Zeffirelli sono vari e articolati. E le produzioni rigorosamente tutte internazionali. Starò ai fondamentali, ai titoli più identitari del toscano, Gesù di Nazareth e Fratello sole, sorella luna. La mistica personale di Zeffirelli, che è anche fedele all’ortodossia delle Scritture. Il regista è molto lontano dalla visione di un Pasolini, che faceva di Gesù un capopopolo socialista, o da quella di Scorsese che raccontava di un messia che mette su famiglia con la Maddalena. Francesco, pur rappresentato secondo la sua storia rimandata dai testi, diventa una bella allegoria della contestazione giovanile, che si esprime nella regola francescana accolta da papa Innocenzo III.

In cinema Zeffirelli è stato un campione di estetica, sentimento e botteghino. La critica non è mai stata benevola con lui. Non rilevava l’arte di autori maestri come De Sica, Rossellini, Visconti e Fellini. Sui quali i riconoscimenti primari - Oscar, Cannes, Venezia - sono caduti a pioggia. Quei tre premi lo hanno ignorato. Al contrario dei David, che lo hanno premiato cinque volte.

Franco Zeffirelli è stato campione del mondo di teatro. Data decisiva è il 1961, quando il regista monta Romeo e Giulietta all’Old Vic Theatre, tempio del teatro shakespeariano. Pur rimanendo nella sacra tradizione di quell’opera, ci mise qualcosa in più legato al momento. Non era facile fare accettare una trasgressione del genere, seppur piccola, laggiù.
Zeffirelli, negli anni ha rappresentato tutti i drammi in tutti i teatri più importanti del mondo, dalla Scala al Metropolitan all’Opéra, al Covent Garden, al Bolshoi. Le sue regie sussistono sempre, inalienabili. La punta dell’iceberg: i superclassici Manon Lescaut, Turandot, Traviata, Bohème, Cavalleria rusticana. E ancora la Carmen, ripresa dodici volte all’Arena di Verona. Ricordabile anche il classico Chi ha paura di Virginia Woolf.

Cinema&teatro
Un focus particolare merita l’applicazione di Zeffirelli a Shakespeare. Il primo titolo è La bisbetica domata del 1967. L’artista puntò sulla coppia Taylor-Burton, la più popolare del mondo, per arte e per… gossip. Per cominciare volle che l’estetica fosse del tutto lontana dal reale. Una ricostruzione che rimandasse ai colori e alle luci delle pitture del cinque/seicento, con un’ispirazione preci­sa rispetto alla pittura della scuola veneta. Alla scrittura vennero chiamati Suso Cecchi D’Amico, sempre ga­rante, e Paul Dehn, alla musica Nino Rota. Tutte grandi sicurezze. Il testo era del tutto congeniale al regista, al suo spirito irridente di toscano.

© Mymovies

Romeo e Giulietta
La vicenda degli innamorati di Verona presentava dei precedenti singolari, magari anomali, persino grotteschi. Zeffirelli volle rimanere fedele al testo classico, cercando due ado­lescenti. Per Romeo, da un provino emerse Leo­nard Whiting, sedicenne già scritturato dall’Old Vic Theatre. Per Giulietta la ricerca fu più comples­sa. Alla fine venne privilegiata Olivia Hussey, quattordicenne. Straordinarie le immagini, infatti il maestro di fotografia Pasqualino De Santis ottenne l’Oscar. E grande e dolce fu la suggestione delle musiche di Nino Rota. Altro elemento decisivo del successo furono i costumi di Danilo Donati che gli valsero un altro Oscar.
Il film costò due milioni di dollari e ne incassò cento solo la prima stagione.

Otello
Zeffirelli, artista anche da melodramma, colse l’oc­casione che gli offriva il grande tenore Placido Domingo, considerato forse il più grande “Otello” di sem­pre. Il ruolo di Desdemona venne attribuito a Katia Ricciarelli, ri­tenuta perfetta per voce e appeal. Per la direzione venne scelto Lorin Maazel che si rese conto delle necessità di apportare modifiche al te­sto musicale. Del resto Zeffirelli, nato regista di teatro, quelle regole le conosceva alla perfezione: 

«Sapevamo che i puristi avrebbero ululato con furore, ma Verdi e Boito si erano comportati con Shakespeare come io avrei dovuto fare con loro: rielaborare il testo poetico e musicale per adattarlo alle regole che governano il cinema, che è una forma d’arte con le sue leggi e le sue diverse possibilità narrative.»

Otello è dunque un film-teatrale, col sincretismo delle regole rispettate.

Amleto
Il registro fondamentale dell’Amleto di Zeffirelli, sta in una spiegazione, sintetica e chiarissima che lo stesso regista ha dato:

«Questa tragedia è stata spesso presentata come la summa dell’esistenzialismo, gravandola di complicazioni filosofiche. Vole­vo tornare alle origini: gelosia e vendetta. Shakespeare aveva scrit­to un dramma storico, ricco ed emozionante: l’assassinio di un re per mano di suo fratello con la complicità della regina, poi scoper­to dal figlio della vittima. Era una tragedia di vendetta, una saga famigliare raccontata come una grande storia epica, piena di fatti e di azioni. Ecco che cosa, in origine, aveva inchiodato il pubblico per quattro secoli, e… per cinque ore.»

Amleto era un inedito Mel Gibson che comunque seppe adattarsi. Nell’edizione italiana è doppiato da Giancarlo Giannini, un contributo decisivo.

Libri per saperne di più

Autobiografia

Di Franco Zeffirelli | Rizzoli, 2023

Francesco. Fratello sole sorella luna

Di Franco Zeffirelli | De Luca Editori d'Arte, 2014

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