Sapore di sala

Berlinale 73: vincitori e premiati

Dalla Mostra di Venezia alla Berlinale. Vince ancora un documentario: dal Leone d’oro di Tutta la bellezza e il dolore di Laura Poitras all’Orso d’oro di Sur l’Adamant di Nicholas Philibert c’è sicuramente il segno di una continuità più che di una nuova tendenza tra le giurie dei festival.

Però è anche una coincidenza che mostra come il documentario ormai abbia molteplici volti e sguardi e possa identificare in modo ben riconoscibile l’identità di un cineasta. Per esempio al centro del cinema di Philibert c’è ancora una comunità. Dopo quella dei sordomuti in Nel paese dei sordi e la scuola di Essere e avere, dove viene seguito l’ultimo anno di un maestro prima della pensione, in Sur l’Adamant c’è quella di un centro diurno in una struttura galleggiante sulla Senna nel cuore di Parigi che ospita pazienti con disturbi mentali. Anche in questo caso, le persone emergono alla distanza e lo sguardo del cineasta francese, nel susseguirsi delle giornate, li rivela progressivamente e fa in modo che siano loro stessi a potersi raccontare in libertà.

Il verdetto della 73a Berlinale può sembrare anche sorprendente ma ha rivelato un notevole equilibrio della giuria, presieduta da Kristen Stewart, che ha comunque messo in evidenza i frammenti di alcuni dei titoli più significativi di questa edizione.

Sicuramente uno dei possibili vincitori poteva essere Christian Petzold, che si è invece dovuto accontentare del Gran Premio della Giuria, con il suo ottimo Roter Himmel, che segue le inquietudini sentimentali che guardano a un certo cinema francese, entra nella fase e nelle contraddizioni del processo di scrittura attraverso la figura di uno scrittore e poi ha quasi una tensione action nel far avvertire, prima di mostrare, la minaccia degli incendi.

Tra i premi principali ci sono anche Disco Boy, unico italiano in gara, Orso d’argento per il miglior contributo artistico per la fotografia di Hélène Louvart e due interpreti diversissime e complementari come Sofía Otero in 20.000 especies de abejas, dove interpreta in modo estremamente credibile un bambino che non si riconosce nel suo genere e vuole essere chiamato con un altro nome, e Thea Ehre, il trans protagonista dell’atipico, complesso e riuscito poliziesco tedesco Till the End of the Night.

C’è poi il luogo della messinscena, tra lo spazio teatrale dell’hotel di Mal viver del cineasta portoghese João Canijo (che ha presentato anche Viver mal, controcampo di questo film, nella sezione Encounters) e il teatro dei burattini di Le grand chariot di Philippe Garrel, film di famiglia ma anche film sull’arte interpretato dai tre figli del regista (Louis, Esther e Lena), che si sono aggiudicati rispettivamente il premio della giuria e quello della regia. Poi ci sono, come sempre, gli esclusi.

Forse uno dei titoli che avrebbe meritato un premio è Past Lives di Celine Song, sospeso tra passato e presente, Corea e New York, dove i due protagonisti si perdono, si ritrovano, si riperdono di nuovo fino a incontrarsi nel corso degli anni. Malinconico e leggero, con echi di Richard Linklater e il tempo sospeso di un finale che è tra quelli che ci portiamo dietro in questa edizione.

Oltre Disco Boy, in concorso ci sono stati anche altri titoli italiani presenti al festival. Su tutti primeggia il gran documentario di Mario Martone su Massimo Troisi, Laggiù qualcuno mi ama, che a 28 anni dalla morte del comico riesce finalmente a rileggere il suo cinema in chiave autoriale e mostra come oggi sia ancora più moderno e capace di raccontare i sentimenti proprio come il cinema di Truffaut. Per saperne di più, Maremosso ha realizzato un approfondimento proprio su Massimo Troisi e un articolo sul docufilm della sua vita.

Nella stessa sezione, Berlinale Special, è stato presentato L’ultima notte di Amore, terzo lungometraggio firmato da Andrea Di Stefano con Pierfrancesco Favino che offre un’altra interpretazione ricca e sfaccettata in un noir ambientato nella notte milanese che mostra la grande maturazione raggiunta dal regista, evidente in tutta la sequenza dell’incidente. Ma l’Italia ha ben figurato anche con l’ottimo lavoro di Stefano Savona, Le mura di Bergamo (sezione Encounters), che mostra la città come corpo ferito dalla pandemia in un documentario sospeso tra passato e futuro e Le proprietà dei metalli di Antonio Bigini (sezione Generation Kplus), liberamente ispirato al fenomeno dei minigeller, i bambini che alla fine degli anni Settanta avevano visto in tv l’illusionista Uri Geller che piegava chiavi e cucchiai con un solo tocco e hanno iniziato a emularlo.

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