Diario di bordo

 Baghdad, vent'anni fa

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2023

Illustrazione digitale di Marta Punxo, 2023

Lunedì 20 marzo 2023

Si sarebbe saputo solamente in seguito ma dagli ospedali di Baghdad, fino a qualche ora prima, si dimettevano freneticamente pazienti con le ferite ancora aperte, si praticavano parti cesarei su feti di sette mesi o anche meno…
La sera, la capitale si svuotò. Nella notte, come previsto, la più grande scarica di bombe che l’umanità avesse mai messo insieme si scaraventò sulla capitale dell’Iraq. Era il 20 marzo 2003, vent’anni fa, l’operazione si chiamò “Shock and awe” ("Colpisci e terrorizza"). Ai confini meridionali scalpitava un esercito di 260.000 uomini, in massima parte americani e inglesi, pronti ad invadere l’Iraq. Il bombardamento era la folgorante overture per la prima guerra del primo secolo del Terzo Millennio, il nostro, di cui peraltro abbiamo ormai consumato il venti per cento.

Ricordare oggi la notte del 20 marzo 2003 è un triste dovere, anche perché si è trattato di una delle più feroci imposture mai attuate da un potere politico. Quell’impostura è ancora tra noi, le sue conseguenze non sono terminate. Anzi, il modello viene replicato.

Tutto comincia l’11 settembre del 2001 quando lo sceicco Osama bin Laden, finanziato dall’Arabia Saudita, mette a segno il più grande attentato della Storia moderna, la distruzione delle Twin Towers di New York e l’attacco al Pentagono di Washington. Segue la quasi immediata invasione dell’Afghanistan (paese in cui bin Laden aveva stabilito il suo quartier generale); ma l’interpretazione di quanto è successo non si ferma, naturalmente, a uno sceicco miliardario pazzo e a un piccolo paese invischiato in un islam medievale. No, per la Casa Bianca, che è stata la vittima dell’attacco, c’è molto di più dietro, e non potendo essere questo “di più” l’Arabia Saudita, che degli USA è il maggior alleato in Medio Oriente, gli occhi si puntano sull’Iraq, paese che i governi americani conoscono bene perché quando gli ayatollah presero il potere a Teheran (1980) e sfidarono gli USA, fu proprio il dittatore iracheno, Saddam Hussein, che gli americani scelsero per contrastare il pericolo.
Saddam fu spinto a dichiarare guerra a Teheran, ne seguì un conflitto immane (seicentomila morti, gas, città bombardate, bambini mandati a morire sui campi minati avendo come promessa il Paradiso).
La guerra finì senza risultato; ma Saddam pensò bene di chiedere ai suoi committenti un rimborso delle spese che aveva sostenuto. E si prese il Kuwait, che a petrolio non scherza. E così, Bush padre armò una coalizione internazionale (mezzo milione di soldati) che si riprese il petrolio maltolto ma – non si capì mai veramente perché – lasciò al potere il dittatore Saddam Hussein, che usò quel potere per massacrare gli sciiti e i curdi del suo paese.

La Casa Bianca (repubblicana, con il debolissimo Bush jr presidente e Dick Cheney, il vice dalla mente machiavellica) preparò con cura il colpo finale contro l’ex amico; ma prima era necessario costruire una “narrazione” da vendere a tutto il mondo. Nacque così l’espressione “asse del male”, un mondo di cui Al Qaeda era una delle espressioni più visibili, l'intero mondo islamico l’humus ideale e l’Iraq la principale base d’appoggio.
La CIA si inventò che l’Iraq stava preparando la bomba atomica e produsse prove su prove, tutte false.
Bush comparve in TV sostenendo che un grande fungo nucleare stava per alzarsi sulle città americane, il segretario di Stato Colin Powell all’ONU agitò la famosa fialetta di acqua fresca, che aveva tolto dalla tasca della giacca. Abboccammo tutti, tranne la Francia di Chirac.

C’era poi un altro aspetto della questione, più politico–morale che militare.
Gli Stati Uniti volevano deporre Saddam non solo per il pericolo che rappresentava, ma per “esportare la democrazia” nel Medioriente. Insieme alle truppe, in Iraq sarebbero arrivati il libero voto, il libero mercato e la libera stampa.

E c’era un terzo elemento, che aleggiava. La politica americana, a quel tempo, era sotto il dominio reale delle chiese evangeliche, cui non dispiaceva certo l’idea di una crociata della cristianità contro l’Islam e una riscossa dei valori religiosi che il consumismo, la legalizzazione dell’aborto, i diritti civili alle minoranze avevano offuscato.

Sappiamo come finì.
Fu il disastro dell’America, di quell’America. L’esercito di occupazione subì la sorte di tutti gli altri, dissanguato da una facile guerriglia. La democrazia non arrivò, anzi: a conquistare l’Iraq furono gli odiati (e sottovalutati) sciiti di Teheran…

Per il resto, la memoria si affolla e si sbiadisce:  la “green zone”, l’assedio di Falluja, il contractor Quattrocchi, il giornalista Enzo Baldoni, l’esercito del Mahdi, gli ingenui soldati di Nassirya, Simona Torretta e Simona Pari, Giuliana Sgrena, Nicola Calipari, il carcere di Abu Ghraib, l’ISIS alle porte di Bagdad, dopo Mossul e Kirkuk, Saddam Hussein impiccato in favore di smartphone… 4600 soldati americani morti e forse mezzo milione di iracheni….

Di quella notte di vent’anni fa rimane Il nome: “shock and awe”, colpisci e terrorizza.

A voi i paragoni con quanto succede ora.

Libri per approfondire

La guerra in Iraq

Di Andrea Beccaro | Il Mulino, 2013

Fuoco amico

Di Giuliana Sgrena | Feltrinelli, 2006

La guerra di tutti. Populismo, terrore e crisi della società liberale

Di Raffaele Alberto Ventura | Minimum Fax, 2019

Afghanistan Picture Show ovvero, come ho salvato il mondo

Di William T. Vollmann | Minimum Fax, 2020

I diari di Guantánamo

Di Mohamedou Ould SlahiLarry Siems | Piemme, 2021

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