Venerdì 8 luglio
È cominciato ieri – ed è stato subito rinviato a settembre – il “maxi processo” per la strage del ponte Morandi, 43 vittime, avvenuta il 14 agosto del 2018. Tutti se la ricordano: un ponte di cemento armato – all’epoca dell’inaugurazione, anno 1967, presentato come un’eccellenza dell’ingegneria italiana, lasciato lentamente deperire, senza manutenzione, per risparmiare, fino alla sua intima corruzione.
Quel moncone sospeso sul vuoto, con il camioncino della ditta “Basko” in bilico, divenne nel mondo un simbolo dell’Italia, la metafora del paese dello spreco, dell’incuria e del declino. C’erano appena state le elezioni shock, che avevano portato al famoso governo gialloverde. Era presidente “del primo governo populista d’Europa” uno sconosciuto avvocato, Giuseppe Conte, uomini forti erano Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ministro delle infrastrutture uno sconosciuto, ma molto loquace Danilo Toninelli; tutti promisero una rapida e rude giustizia.
Il nuovo governo si presentò, applauditissimo, ai funerali – si fecero anche i selfies con i parenti delle vittime! - promettendo misure drastiche contro la partitocrazia, contro la corruzione e puntando il dito contro la potente famiglia Benetton.
Se ne scordarono presto, e i Benetton uscirono, molto ben compensati, dal business delle autostrade italiane.
L’Italia – quella buona, quella eterna – ricostruì in tempo record un bellissimo ponte, ad opera del genovese Renzo Piano; la giustizia dal canto suo, coi suoi tempi, istruì il processo che comincia adesso: 59 imputati, centinaia di parti civili, altre centinaia di periti, avvocati, consulenti. La difesa sosterrà che il disastro era imprevedibile perché legato a un “vizio occulto” di costruzione; l’accusa sostiene che era prevedibilissimo.
In quattro anni, però tutto lo scenario è cambiato; Conte, Di Maio, Salvini e Toninelli, in disgrazia politica, non si sono neppure presentati alla prima udienza; evidentemente hanno cose più importanti cui pensare; il processo si presenta molto tecnico e difficilmente catturerà l’interesse dell’opinione pubblica. Ma la cosa che più mi ha stupito è il calendario che il Presidente ha stilato e che già adesso risulta impegnato fino all’estate del 2023.
Il ponte di Piano, a quella data, sicuramente ci sarà ancora, ma di tutto il resto siamo così sicuri?
Quanto manca alla prossima alluvione di Genova? Ci sarà la gronda nord da cui fare passare i camion? Ci saranno ancora i camion che vanno a diesel? Ci sarà la TAV, che trasporterà via treno in Europa? Ci sarà ancora l’Europa? Ci sarà ancora l’Ucraina, ci sarà l’arco alpino, il Po?
Ho la vaga impressione che ci dimenticheremo presto di questo processo, perché altre notizie, altre immagini incomberanno.
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