Diario di bordo

Lo schiavo incatenato

Martedì 5 luglio

Il triste, ma facile presagio (vedi Maremosso di ieri): l’Independencte Day macchiato di sangue; è successo a Chicago, 6 morti, decine di feriti, un numero impressionante di bambini tra le vittime, dappertutto la foto di un poliziotto che si tiene la faccia fra le mani.

Chicago, la capitale dei neri, che fu popolata nel primo Novecento dagli schiavi liberati che lasciavano il sud delle piantagioni.
La città dove è cresciuto Barack Obama.

Ma se volevate vedere uno schiavo di oggi, dovevate essere a Roma.
In catene, per diciassette ore sotto il sole, nel caldo infuocato, smunto e con la faccia scavata da uno sciopero della fame e della sete, ecco a voi il sindacalista della Lega Braccianti, Aboubakar Soumahoro. Chi ha cuore i diritti e la giustizia, lo conosce: è il lavoratore più coraggioso d’Italia, in nome dei braccianti, in genere africani, schiavizzati nelle campagne del sud Italia per il grande business dei pomodori e di tutte le altre buone verdure che allietano il nostro desco.

Pochi giorni fa era morto (nel silenzio) Yusupha Joof, bracciante di 35 anni rimasto intrappolato nell’incendio della sua baracca nell’insediamento di Torretta Antonacci, nel foggiano, l’ultimo di una serie lunghissima.
È per questo che Aboubakar Soumahoro è in catene di fronte a Montecitorio: chiede di essere ricevuto da Mario Draghi.

“Sono qui oggi perché le nostre vite, di lavoratrici e di lavoratori, non possono continuare a soccombere sui luoghi di lavoro (come ad esempio nei campi di raccolta di frutta e verdura, sui cantieri edili, ecc) ed ad essere carbonizzate dalle fiamme della miseria, come è recentemente accaduto a Yusupha Joof. Sono qui oggi perché una Repubblica fondata sul lavoro non può coltivare e normalizzare la cultura del LAVORO POVERO. Come diceva il maestro Giuseppe Di Vittorio, "non è giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature". Sono qui oggi per CHIEDERE al Palazzo di smettere di ignorare le nostre grida di dolore e di iniziare a vedere le sofferenze delle lavoratrici e dei lavoratori del Paese Reale”.

E riassume in tre punti le richieste che intende fare, a partire da un salario minimo legale, passando per un piano nazionale contro gli infortuni sul lavoro e arrivando a una riforma della filiera agricola, con quella che lui definisce “patente del cibo”, perché braccianti e contadini non possono “continuare ad essere schiacciati sotto il rullo compressore della potente Grande Distribuzione Organizzata”.
Inoltre Aboubakar Soumahoro chiede anche un permesso di soggiorno per evitare che il caporalato possa agire indisturbato.
Draghi ha un’occasione per passare alla storia: riceverlo, ascoltarlo e agire. Aboubakar nella Storia c’è già.

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