Steve McCurry racconta "Devotion"

Poche cose al mondo sanno dialogare con la nostra parte silenziosa come una bella fotografia.

Alzi la mano, ad esempio, chi non ha sentito risuonare in sé un sentimento antico e sconosciuto al tempo stesso, guardando negli occhi quella ragazzina afghana il cui volto ha fatto il giro del mondo grazie a una foto scattata nel 1984?
Quella foto rese internazionalmente celebre il suo autore, un fotografo americano che amava i viaggi e che si era fatto rapidamente conoscere come abilissimo e coraggioso reporter di guerra. 
Ma in Steve McCurry c'era di più, molto di più.
Dalla copertina di National Geographic sulla quale campeggiava la foto di Sharbat Gula (che più tardi si sarebbe scoperto essere il nome della ragazza), il nome di McCurry divenne presto sinonimo di un approccio profondamente umanista al reportage, un modo di intendere la fotografia come strumento impareggiabile per rilevare ciò che unisce le genti del mondo, al di là delle differenze.

Da allora, tanta acqua è passata sotto i ponti dei tanti (tantissimi, invero) paesi visitati e raccontati dal nostro e McCurry, nato a Philadelphia nel 1950, è oggi un maestro riconosciuto in tutto il mondo.
Così, quando ci è stata data l'occasione di incontrarlo personalmente, a margine della sua partecipazione all'edizione di Bookcity da poco conclusasi, siamo stati presi da un'emozione fortissima. 
Il suo nuovo libro pubblicato da Mondadori Electa, Devotion. Amore e spiritualità, è semplicemente stupendo. Una summa del McCurry-pensiero, un caleidoscopio di immagini e colori che prendono per mano chi le guardi e lo portano con sé, sulle ali di una profonda sensibilità che non può non toccare chiunque sappia guardare. 
Siamo felicissimi, dunque, di poter offrire ai lettori di Maremosso questa conversazione con un maestro dei nostri giorni, e speriamo che le riflessioni e le storie che McCurry ha voluto condividere con noi possano essere d'ispirazione per tutti. 

Buona visione!