In inglese, l’ultimo saggio dello storico britannico John Foot, brillante studioso e profondo conoscitore della storia d’Italia, s’intitola Blood and Power, “sangue e potere”, e, come per certi film e serie tv, il titolo originale rende meglio l’idea del contenuto.
Rivoltelle, bombe a mano, manganelli e olio di ricino: questo era l’armamentario delle ‘squadracce’ fasciste che cento anni fa imperversavano per l’Italia, lasciando una scia di morte e di devastazione. Una violenza che sconvolse la penisola e ne paralizzò ogni reazione.
Tra i molti saggi sul fascismo usciti a cento anni dalla marcia su Roma, infatti, questa ricostruzione, edita da Laterza e condotta su una vasta mole di documentazione d’archivio (soprattutto le carte dell’Ovra, la polizia politica fascista, conservate presso l’Archivio centrale dello Stato), si focalizza sul nesso inscindibile tra violenza e fascismo, in particolare sull’importanza dell’azione delle squadracce fasciste nell’ascesa e nella presa del potere da parte di Mussolini.
Intimidazioni, pestaggi e omicidi consumati impunemente mentre gran parte della classe dirigente e dei funzionari del Viminale (con poche lodevoli eccezioni) lasciavano fare, e col tacito assenso di una parte significativa della popolazione, nella cui percezione, grazie all’uso spregiudicato del manganello, «la sicurezza tornò».
Il racconto parte proprio da uno spunto autobiografico in cui balena un frammento di questa narrazione: una grande cena nella casa in Cornovaglia dove periodicamente il variopinto clan dei Foot – una famiglia «imbevuta di politica», che include un noto deputato e un diplomatico di carriera – si riuniva attorno al grande tavolo della “matriarca”, nonna Silvia. A una di queste riunioni, la bisnonna Aurelia Lanzoni, nata in Turchia ma di origini italiane, avrebbe detto «ah, il fascismo, che meraviglia!» (perché, secondo il racconto di un nipote, tra il 1920 e il ’21 aveva subito l’aggressione di una «banda comunista»).
Le squadracce dispiegano in modo sistematico la loro violenza contro anarchici, socialisti e comunisti, e questo premia il partito di Mussolini: alle elezioni politiche del maggio 1921, segnate dal grande successo dei socialisti che eleggono ben 123 deputati socialisti, accanto a 15 comunisti e 108 cattolici, entrano nel tanto vituperato parlamento anche 35 fascisti, tra cui ras e capi squadristi come il cremonese Farinacci. Portando subito la violenza anche alla Camera, con l’aggressione all’onorevole comunista Misiano: mentre coi camerati lo spingeva fuori a forza, il fascista Silvio Gai sbraitava che i suoi elettori l’avevano mandato in Parlamento proprio per cacciarlo fuori. Foot traccia un’impressionante galleria dei ritratti delle tantissime vittime di queste violenze dimenticate, traumatizzate o uccise, e a partire da questa “vittimologia”, come nelle serie investigative, mette a nudo la natura strutturalmente criminale del regime.
Un libro coinvolgente, che immerge il lettore nel clima feroce dell’ascesa del regime e insieme fa riflettere sui fantasmi che sempre può liberare la domanda distorta di “sicurezza”, che ha ancora tanta presa sulla pancia delle persone.
Per chi non lo conosce, recuperate l’Autobiografia di un picchiatore fascista di Giulio Salierno (Minimum Fax 2008), uscita per la prima volta nel 1976, in cui un ex un giovane diseredato neofascista rilegge la propria vita violenta dopo che, in carcere, si è riscattato attraverso lo studio diventando sociologo.
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