Afferma Giulio Sapelli che il 24 febbraio 2022 ha messo in evidenza ciò che a lungo abbiamo evitato di vedere: la fine della guerra fredda non era il segno di un nuovo tempo di pace.
Quando nel 1991 siamo entrati nel nuovo tempo non abbiamo preso lezioni dalla storia, ma, inebriati, in Occidente, dal successo, abbiamo evitato di pensare al resto del mondo.
Con la guerra in Ucraina torna il conflitto in Europa e la paura di un'escalation nucleare. Ma per instaurare una geopolitica fondata sulla pace non basta far cessare la guerra, bisogna cambiare il modo di pensare e di intendere i rapporti tra le nazioni.
Sapelli richiama più volte l’Europa di metà ’600 e la pace di Vestfalia. Opportunamente.
Quella pace infatti: 1) mette fine alla guerra; 2) riscrive la carta geopolitica dell’Europa; 3) consente il rispetto della sovranità nazionale degli stati appartenenti al sistema; 4) fonda l’idea di un’Europa che non coincide più con la cristianità.
La fine della guerra fredda e il crollo dell’Urss, cui è seguita una politica miope di supremazia Usa, non hanno né dato luogo a una qualche «pace di Vestfalia» né, soprattutto, ripete più volte Giulio Sapelli, hanno stimolato a cercare un nuovo equilibrio. L’effetto, invece, è stato l’incremento degli squilibri. In breve, ci attende un periodo di nuova, forte instabilità.
Opportuno, allora, tornare a riflettere sulle molte svolte e sulle molte occasioni mancate di questo trentennio rimodulando un pensiero che non si basi sulla supremazia, ma sull’equilibrio.
Un percorso mancato che ha voluto dire incertezza di una idea di governance mondiale da parte degli Stati Uniti, arretramento del Giappone, la Russia in una profonda crisi ma determinata a ritrovare un'identità.
Un processo che rafforza il percorso antieuropeo ed eurasiatico della Russia sulla scorta della visione di Aleksandr Dugin, oggi non a caso ideologo di riferimento di Vladimir Putin. Una scelta che è anche conseguenza delle scelte punitive che si sono accumulate nelle politiche rivolte alla Russia negli ultimi trent’anni. E da cui, sembra di capire, è difficile uscire, a meno di non adottare una visione complessiva di sistema mondo.
Insieme incertezza e crollo di un’Europa che ha perseguito una politica che si credeva di successo, e che invece oggi sembra portare verso una dissoluzione. Ripetizione, a un secolo di distanza da Serajevo 1914, di quel crollo di sistema che Christopher Clark ha descritto nel suo I sonnambuli e che, anche per questo, non può essere il quadro di riferimento ideale per pensare al futuro.
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