Lunedì 17 ottobre
Qui su Maremosso, all’inizio della guerra, avevamo pubblicato la storia delle “madri in affitto” di Kiev.
Chi erano? Centinaia di donne ucraine che, con regolare contratto, avevano stipulato un accordo con coppie incapaci di procreare per portare a termine, dietro compenso, una gravidanza. La pratica è osteggiata in molti paesi, e dalla Chiese (oltre a suscitare interrogativi etici che riguardano ricchezza e povertà), ma in Ucraina era ed è perfettamente legale, con cliniche conosciute in tutto il mondo.
Migliaia i clienti, da ogni parte: Cina, Australia, Gran Bretagna e Stati Uniti tra i maggiori fruitori.
All’epoca ci si chiedeva se queste gravidanze sarebbero state portate a termine, con Kiev sotto i bombardamenti.
Poi i fatti militari si fecero così preminenti che le storie di queste donne furono dimenticate.
Leggo sulla prima pagina del New York Times che quei contratti sono stati tutti rispettati.
In un ampio servizio, corredato da splendide fotografie, veniamo informati che centinaia di bambini sono già stati “consegnati” ai loro paganti genitori. Ma non è stato facile, perché le donne ucraine che avevano sottoscritto il contratto erano sparse un po’ per tutto il paese, dalla capitale, a Kharkiv, alle zone del Donbass in piena guerra. Le loro gravidanze sono continuate in mezzo a rifugi sotterranei, in cantine, sotto il rumore dell’artiglieria. L’articolo racconta di diverse esperienze drammatiche: fuggire cercando di portare con sé la famiglia, il timore di essere fermate ai checkpoint dai russi o di essere costrette a partorire in zone occupate dai russi. I soldi del contratto – in media 20.000 dollari – sono spesso serviti per pagarsi un passaggio verso zone più pacifiche e assicurare i “compratori” che i loro bambini godevano di buona salute. La società BioTex, che ha fornito le maggiori notizie al Times, assicura inoltre che le richieste di gravidanze assistite – 50 al mese prima della guerra – non si sono fermate, neanche quando sono cominciati i bombardamenti di marzo. Ora sembrano essere riprese a pieno ritmo. L’articolo pubblica anche una foto di un certo Mr. Zhan, cinese, che solleva fiero il neonato, “suo”.
La didascalia dice: “quando sarai più grandicello, ti racconterò tutta la storia”.
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