La redazione segnala

La gogna mediatica su Ilaria Salis

Le immagini di Ilaria Salis condotta in catena nell’aula del tribunale di Budapest, con polsi e caviglie chiusi da ceppi con lucchetti, ci fa pensare a scene che provengono da un’altra epoca, a quei supplizi medievali in cui era prima di tutto il corpo dell’imputato a essere esposto, umiliato e mortificato, per essere mostrato agli altri cittadini con l’idea che la spettacolarizzazione di quelle sofferenze potesse fungere in qualche modo da deterrente. Gogne e impiccagioni, torture e catene, nel corso dei secoli le punizioni si sono evolute, per lo meno in questa parte del mondo, sottraendo sempre più i corpi dei condannati allo sguardo pubblico.

Le immagini di Salis di questi giorni ricordano la foto di Enzo Tortora, scattata il 17 giugno 1983, quando a seguito del suo arresto venne ritratto all’uscita di una caserma dei carabinieri con le manette ai polsi. Quell’immagine, la gogna pubblica di uno dei conduttori televisivi più famosi dell’epoca, finì su tutti i giornali per diverse settimane, ed è indubbio l’effetto psicologico che la visione di un uomo ammanettato produce in chi la guarda. Qualche anno dopo, in piena Tangentopoli, Enzo Carra, giornalista e portavoce del segretario della Democrazia cristiana Arnaldo Forlani, venne portato in Tribunale con le manette ai polsi e condotto a catena. Quell’evento, e le polemiche che seguirono, fece in modo che nel 1999 venisse approvato il comma 6 bis dell’articolo 114 del codice di procedura penale in cui viene vietata “la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi o ad altro mezzo di coercizione fisica”.

Ma la vicenda di Ilaria Salis, ovviamente, non riguarda solo il modo in cui noi abbiamo potuto vederla attraverso i video girati alla sua udienza. Detenuta da quasi un anno dopo essere stata accusata di aver aggredito due neonazisti durante una manifestazione, le sue condizioni di vita sono estremamente degradanti. Non le è stato fornito il kit per l’igiene, non le vengono dati assorbenti quando ha le mestruazioni, la cella è infestata di animali e piena di sporcizia, la biancheria del letto non viene cambiata per settimane così come non le vengono forniti vestiti puliti, il cibo è contaminato e totalmente insufficiente. Nonostante queste informazioni fossero ben note alle autorità competenti, i primi mesi della detenzione di Salis sono passati senza che praticamente nessuno se ne occupasse. Il padre della donna ha invano tentato di mettersi in contatto con Governo e Farnesina, senza ricevere alcuna risposta. Sono state solo le immagini della scorsa settimana, e le sempre più frequenti iniziative del padre e della società civile, a obbligare la Presidente del Consiglio a iniziare una interlocuzione con l’omologo ungherese Viktor Orban.

Il totale disinteresse dimostrato finora può essere attribuito a diverse cause, nessuna delle quali confortanti. I privilegiati rapporti tra Meloni e Orban hanno probabilmente contribuito a far sì che l’Italia potesse finora chiudere entrambi gli occhi e, di certo, il reato di cui Salis è accusata non deve aver suscitato grandi simpatie nel Governo. Forse però, la causa principale risiede nell’attitudine dimostrata nei confronti delle persone detenute in generale. Non serve infatti andare in Ungheria, e citare Ilaria Salis, per trarre delle conclusioni sul tipo di impostazione che questo Governo dimostra nei confronti di chi è privato della libertà. Nell’ottobre 2022, data di inizio della XIX legislatura, nelle nostre carceri erano detenute poco più di 56mila persone. A quindici mesi di distanza la situazione è drammaticamente precipitata e con oltre 60mila persone negli istituti penitenziari stiamo raggiungendo pericolosamente la soglia di capienza pre-sentenza Torreggiani, quando il nostro paese è stato condannato dalla Corte europea dei diritti umani per le condizioni inumane e degradanti vissute dalla popolazione detenuta in Italia a causa del sovraffollamento.

La quantità di nuovi reati introdotti e l’aumento di pene per molti altri, dai rave ai blocchi stradali passando per lo spaccio di lieve entità di sostanze stupefacenti, sono il simbolo di ciò che muove questo Governo. Elevare il carcere a panacea di tutti i mali, e poco importa se nel solo mese di gennaio si sono già suicidate tredici persone negli istituti di pena italiani (nel momento in cui sto chiudendo questo articolo, arriva la notizia di altri due suicidi). Non stupisce, quindi, l’immobilismo che per mesi ha relegato la vicenda di Ilaria Salis a un fatto di alcun interesse. Non stupisce, certo, ma non per questo è più giustificabile. E come in tante e tanti stanno facendo notare in questi giorni, potrebbe essere forse lo scandalo delle foto che ritraggono l’insegnante di Monza in catene a far fare anche qui da noi qualche passo in avanti, davvero non più rimandabile.

Per un approfondimento

Il diritto di avere diritti

Di Stefano Rodotà | Laterza, 2015

Carceri. I confini della dignità

Di Patrizio Gonnella | Jaca Book, 2014

Sogni e illusioni di libertà. La mia storia

Di Patrick Zaki | La nave di Teseo, 2023

Per il tuo bene ti mozzerò la testa. Contro il giustizialismo morale

Di Luigi ManconiFederica Graziani | Einaudi, 2020

Abolire il carcere. Una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini

Di Stefano AnastasiaValentina CalderoneLuigi Manconi | Chiarelettere, 2015

Non si può incatenare il sole. Storie di donne nelle carceri iraniane

Di Puoran NajafiHengameh Haijassan | Menabò, 2022

La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme

Di Hannah Arendt | Feltrinelli, 2019

Prima che sia notte

Di Reinaldo Arenas | Guanda, 2016

Fuga dal campo 14

Di Blaine Harden | Codice, 2014

Il tritacarne. Una voce dal carcere di Florence, Arizona. Nuova ediz.

Di Karl Louis Guillen | Ass. Multimage, 2018

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