Il tempo, si sa, leviga ogni cosa. Scorrono gli anni, i decenni, i secoli e le impertinenze dei singoli, le tragedie della storia, persino le idee più rivoluzionarie, assurde, deflagranti a poco a poco si assestano, trovano posto in qualche cassetto, si sistemano in buon ordine per lasciar spazio a ciò che è venuto dopo.
È accaduto anche con la musica del Romanticismo. A metà Ottocento risuonava in modo esplosivo, inaudito, e il pubblico si imbizzarriva per il piacere, era percorso da brividi che non sapeva nominare, qualcuno ogni tanto sveniva per l’emozione. Oggi invece ascoltiamo Chopin, Brahms, Liszt, Schumann e dondoliamo dolcemente la testa in sala da concerto, ci lasciamo accarezzare dalle armonie, magari perdiamo il filo ma non ce ne curiamo perché poi, lo abbiamo già sperimentato, a un certo punto sapremo recuperarlo.
Ecco, questo non accade con la musica di Hector Berlioz, il più grande compositore francese dell’Ottocento, del quale oggi si festeggia l’anniversario (era nato l’11 dicembre 1803). E non accade perché dietro il suo artigianato sopraffino, dietro la sua sapienza tecnica – scrisse addirittura un Grande trattato di strumentazione e orchestrazione moderne, ancora oggi fondamentale – continua a graffiarci il suo essere eccessivo, insofferente, genialmente egocentrico. Non che i suoi colleghi fossero impiegati del catasto che scrivevano musica all’ora del tè (Schumann, per dire, era affetto da una malattia mentale, cercò di suicidarsi gettandosi nel Reno ghiacciato e morì, più tardi, in un ospedale psichiatrico); ma Berlioz aveva la capacità di trattenere sui pentagrammi la sua biografia come nessun altro aveva mai fatto.
Hector Berlioz compose il suo Requiem su commissione del governo francese per commemorare i soldati caduti durante la Rivoluzione di luglio nel 1830. Il Requiem era destinato a diventare una delle opere più famose di Berlioz, anche in virtù della sua eccezionale strumentazione e della gigantesca orchestrazione, che prevede quattro ensemble di ottoni distribuiti in tutta la sala. Berlioz stesso vi era particolarmente affezionato.
Pensate al suo capolavoro, la Sinfonia fantastica, del 1830. È il primo esempio nella storia di musica a programma, cioè dell’idea di usare una forma musicale e un’orchestra – senza nessuno che intoni un testo, si badi – per raccontare qualcosa di preciso. Nello specifico, l’infelice storia d’amore di Berlioz stesso, che a Parigi una sera vede a teatro la giovane attrice Harriet Smithson mentre interpreta Ofelia nell’Amleto di Shakespeare, se ne innamora, la adora a distanza (anche perché lui non parla una parola di inglese), si strugge e decide di farlo sapere a tutti, scrivendo appunto la Sinfonia fantastica.
Ora, uno può anche non sapere nulla della vicenda, non aver letto il programma che il compositore fece pubblicare sui giornali affinché il pubblico fosse correttamente informato prima dell’esecuzione, può ignorare i dettagli sul tentativo di suicidio con l’oppio, che viene evocato, e le successive, terribili allucinazioni. Può, insomma, ascoltare il brano come fosse musica, semplicemente musica, e non la successione in cinque movimenti di “episodi della vita di un artista”, come la definiva Berlioz. Ma, nella bellezza delle invenzioni musicali, tra i colori esplosivi della sua orchestra (proprio in quegli anni entravano nell’uso nuovi strumenti, come il corno inglese o il clarinetto piccolo), nella perfezione di un movimento come Un ballo, probabilmente il più bel valzer di tutto l’Ottocento, continuerà sempre a percepire qualche grinza nella piega della partitura, un guizzo timbrico, un ritmo, uno scossone dinamico che ricordano quanto dietro ai pentagrammi ci fosse un’esistenza inquieta, dolorante, con slanci e ferite che la musica poteva suturare, sì, senza tuttavia riuscire del tutto a cancellare.
Anche per questo ancora oggi la musica di Berlioz non ci lascia indifferenti, stenta a trovar posto in una playlist di rassicurante musica ottocentesca, rifiuta di farsi ingabbiare in pensieri chiari, definiti. Il Romanticismo nasceva in Germania mentre Berlioz era francese, d’accordo; ma per ritrovare le inquietudini di quegli anni, per assaggiare l’infinito, sprofondare per qualche minuto all’inferno e dare uno scossone al cuore, la musica da ascoltare è proprio la sua.
Questa guida all'ascolto indaga le fonti stilistiche e i modelli musicali da cui prese le mosse Berlioz, la formazione letteraria della sua poetica del fantastico, le modifiche che cambiarono la fisionomia e l'estetica dell'opera man mano che circolava per l'Europa diretta dalla bacchetta dell'autore medesimo.
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