Nel titolo della traduzione italiana del suo bel Passés singuliers. Le “je” dans l’écriture de l’histoire (Lux Éditeur 2020), lo storico Enzo Traverso definisce significativamente “la tirannide dell’Io” quel difficile rapporto che si instaura tra lo studioso di storia e il suo oggetto di ricerca ogni volta che si tratta di affrontare e soprattutto diffondere i risultati della ricerca stessa.
Come sempre più spesso accade, all’interno di una narrazione come quella storica, che alcune vetuste scuole di pensiero pretendevano asettica e neutrale, chi narra diventa più visibile e a volte ingombrante, svelando da una parte la fatica di mantenere le distanze da argomenti, quelli delle scienze umane, in cui chi ricerca fa pur sempre parte anche di ciò che “è ricercato” (l’essere umano); dall’altra, mette l’accento su come questo modo di intendere il proprio coinvolgimento nella ricerca sia qualcosa di profondamente sincero, utile per il lettore e, in fondo, umano.
Patrie (Garzanti 2023) dello storico britannico Timothy Garton Ash, rappresenta da questo punto di vista il fortunato incontro tra la confidenza pluridecennale con la metodologia di ricerca storica e la volontà di far parte in prima persona della storia che si narra. Una bella, godibilissima cavalcata tra le grandi vicende del secondo Novecento, fatta in buona parte in prima persona, vede l’Io dell’autore impegnato in una tutt’altro che tirannica rilettura di un cinquantennio complesso per un continente ancor più complesso, l’Europa.
Un racconto di un periodo di progressi senza precedenti e insieme cronaca di quanto è andato storto, dalla crisi finanziaria del 2008 fino alla guerra in Ucraina.
La fine della Seconda Guerra Mondiale, la costituzione dei blocchi Est-Ovest, la riscrittura identitaria di interi contesti nazionali, il crollo di queste stesse ideologie e il tentativo di ridare smalto a un’identità continentale che probabilmente è tale proprio a causa della sua irriducibilità a un’unica forma omogenea; c’è tutto questo e molto altro nel saggio biografico di Garton Ash, alle prese con una rielaborazione introspettiva di ciò che ha significato, per l’autore, il fatto di essere parte in causa nei fatti narrati.
Forse, leggendo soprattutto le parti finali del saggio dedicate all’attualità di un progetto europeo in affanno, viene da pensare che questa forma di narrazione storica possa sopperire a una mancanza che spesso si nota nei corposi lavori di saggistica: un’ammissione di umiltà e di trasporto intellettuale per la materia trattata.
Troppo spesso, e con risultati deleteri, storici di passate generazioni hanno nascosto dietro una patina di rigore scientifico impersonale le sanguinose battaglie per la costruzione di un passato che si attagliasse al presente. Libri come Patrie, biografici e al contempo testimoniali, possono contribuire a mostrare un lato spesso nascosto del lavoro storico, quello che ha a che fare col rispetto delle fonti e della sincerità intellettuale di chi queste fonti le racconta.
Non leggetelo se per affrontare la storia d’Europa avete bisogno di chili e chili di diplomazia e politica: questo libro è un esercizio intimo, personale.
Non leggetelo se credete nei grandi destini nazionali: questo libro demolisce, da dentro, una buona parte della sacralità del racconto sovranista.
Non leggetelo se pensate che gli storici debbano rimanere giudici asettici: anche se non lo ammetteranno mai, è sempre il cuore che guida la testa.
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