Lo studio dell’«eccezionale normale», così, il grande modernista Edoardo Grendi provò a definire nel 1979 la corrente storiografica che allora veniva ancora chiamata microanalisi storica e che verrà poi conosciuta come «microstoria». Un momento di effervescenza negli studi storici del Bel Paese che cambierà radicalmente il volto della ricerca sul passato in Italia, costituendo il contributo più interessante e duraturo al dibattito storiografico internazionale, da parte italiana, nel Novecento.
Che cosa ha dunque a che fare la microstoria con la storia globale? Francesca Trivellato si è interrogata su questa domanda per oltre un decennio. I suoi saggi qui raccolti offrono risposte per alcuni versi sorprendenti a partire da un punto di osservazione privilegiato. Allieva di uno dei fondatori della microstoria italiana, Giovanni Levi, Trivellato mette in luce incontri mancati, possibili sviluppi e intrecci tra storiografie che, anche in un mondo sempre più interconnesso, mantengono un impronta marcatamente nazionale.
Gravitante attorno alla rivista Quaderni Storici, diretta per lungo tempo da Giovanni Levi, e alla collana Einaudi, Microstorie, curata dallo stesso Levi e da Carlo Ginzburg, l’esperienza della microstoria ha costituito uno dei tentativi più affascinanti di liberare lo studio storico da una certa rigidità delle correnti di analisi del passato allora prevalenti: multidisciplinare per necessità, antidogmatica per definizione e con una vocazione all’allargamento dell’esperienza del sapere storico ai non specialisti (la tanto vituperata, allora e anche oggi, “divulgazione”). La microstoria italiana segna un passaggio epocale nella presa di coscienza della necessità di un rapporto nuovo tra questa scienza umana e la società che le sta attorno.
Il libro Microstoria e storia globale (Officina libraria, 2023) è una bella raccolta di contributi di Francesca Trivellato – già allieva di Giovanni Levi e oggi professoressa di Storia moderna a Princeton – il cui intento è riflettere non solo sull’esperienza microstorica in quanto tale, ma anche sul suo possibile, odierno contributo allo sviluppo di una più ampia e organica trattazione del passato nel quadro della Global History, oggi così centrale nell’esperienza di ricerca.
La microstoria, ricorda giustamente l’autrice, non è stata un movimento organico con una metodologia univoca ed escludente, bensì un’esperienza poliedrica in cui, accanto alle ricerche su paradigmi indiziari e spie di un passato non ancora sondato, trovano posto grandi analisi quantitative di carattere economico e sociale, circoscritte a piccoli borghi rurali o attorno a singole famiglie. Questo carattere fortemente duttile e multidisciplinare e l’attenzione allo spazio dell’immaginario – sia essa indirizzata a benandanti friulani o a un sedicente esorcista piemontese – a distanza di oltre trent’anni da quell’esperienza (l’ultimo saggio della collana Einaudi, Carnevale di massa 1950 di Maurizio Bertolotti esce nel 1991), possono ancora costituire, secondo Trivellato e pure secondo chi scrive, un contributo fondamentale allo studio della Storia come scienza viva, aperta e, perché no, utile alla costruzione di un’idea di futuro.
Non leggetelo se siete appassionati di trattazioni che in qualche pagina pretendono di spiegare il mondo: qui si parte da punti vista, che sono finiti, e parziali.
Non leggetelo se siete convinti che la Storia sia fatta di paradigmi; qui, tutt’al più, troverete esempi.
Non leggetelo se vi piacciono le narrazioni concluse: qui rimane tutto rigorosamente “aperto”.
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