Come in tutte le storie che si rispettino c’è un prima e un dopo.
O meglio: c’è un fatto scatenante e c’è un prima e un dopo questo fatto scatenante.
Questa storia parla di Roberto Baggio, ma non di tutto Roberto Baggio. Questa storia racconta chi è Roberto Baggio nel preciso momento in cui vince il Pallone d’oro e di come quel momento sia stato lo spartiacque tra il nuovo e il vecchio calcio. Se vogliamo – visto che i tempi con il mondo politico sono quasi coincidenti – possiamo anche osare un azzardo e dire che il Pallone d’oro a Baggio rappresenta il passaggio tra la prima e la seconda repubblica del pallone.
Roberto Baggio non è una figura scontata: come il protagonista di un romanzo, è un groviglio di volontà e caso, un uomo incredibilmente determinato e allo stesso tempo in balìa degli eventi. Come se tutti i suoi sforzi servissero a opporsi al destino e allo stesso tempo a compierlo (uno dei tanti paradossi con cui probabilmente il buddismo lo ha aiutato a convivere).
Tutto inizia nel Natale del 1993. Siamo in un mondo ben diverso da quello che conosciamo oggi. Un esempio su tutti? Quell’ All I Want for Christmas is you che da tempo ci tormenta non esiste ancora. E anzi ci piace immaginare che proprio in quei giorni di festa si accendeva nel cuore e nella testa di Mariah Carey una scintilla che da lì a meno di un anno l’avrebbe portata a incidere uno dei pezzi più riconoscibili della storia della musica. Siamo in un mondo in cui Pablo Escobar è stato ucciso dopo anni di caccia e Senna ha da poco vinto il suo ultimo gran GP. In Italia c’è un governo tecnico guidato da Carlo Azeglio Ciampi (primo Presidente del Consiglio non parlamentare della storia repubblicana), Tangentopoli è nel pieno del suo vortice ed è negli occhi di tutti Bettino Craxi che viene letteralmente inondato da qualcuno che dalle parti di Milano pensa sia il momento di scendere in campo.
Questo è il mondo che conosciamo il 21 dicembre del 1993, quando tutte le agenzie di stampa ribattono la notizia che Roberto Baggio ha vinto il pallone d’oro. L’annuncio ufficiale, si legge nella nota, arriverà il lunedì successivo (27 dicembre) in diretta sulla rete televisiva francese Antenne 2, che ha acquisito i diritti da France Football che invece sarà in edicola martedì 28 con la tradizionale copertina rivelatrice del giocatore che alza il premio e sorride verso l’obiettivo.
Il riconoscimento non è stato una sorpresa. Se ne parlava da diverso tempo e da inizio dicembre sembrava davvero che tutte le strade portassero a Torino, sponda bianconera, maglia numero 10: Baggio Roberto e non Baggio Dino che comunque riceverà diversi voti.
Baggio è stato il quarto italiano della storia a vincere il premio. Prima di lui Omar Sivori (argentino naturalizzato), Gianni Rivera e Paolo Rossi. Il codino più famoso d’Italia (insieme a Rosario Fiorello che in quegli anni entrava nelle case tutte le sere con il Karaoke) ha sconfitto la concorrenza, nemmeno troppo agguerrita, di Dennis Bergkamp e di Eric Cantona. La vittoria della Coppa Uefa (oggi Europa League) con la Juventus (in cui Baggio segna 5 gol tra semifinale e finale) e la qualificazione ai mondiali di USA 94 con l’Italia di Arrigo Sacchi, fanno di lui uno dei giocatori più famosi e attesi dai tifosi di tutto il mondo.
Il giorno della premiazione Roberto Baggio ha 26 anni ed è già passato per il calvario di gravi infortuni che avrebbero potuto mettere fine alla sua carriera. Quel riconoscimento significa tante cose per lui, in primis esserci ancora. In un’intervista uscita il 28 dicembre sul Corriere della Sera confessa a Stefano Agresti di essere felice per il premio, ma di divertirsi sempre meno quando scende in campo: «cerco di far sorridere chi guarda, perché io ci riesco raramente». L’ultima volta che si è divertito giocando a pallone? Forse quando giocava col Vicenza, dice. Poi ci ripensa: «Anzi no, l’ultima volta che sono andato al mare, dice». Una dichiarazione che non ti aspetti da chi quello stesso giorno è ammirato da tutto il mondo, intento a sollevare il più ambito premio che un singolo calciatore possa mai vincere.
Un campione triste? Difficile a dirsi. Di certo non un giocatore come gli altri. La prima volta che affronta con la Juve la sua Fiorentina viene inondato dai fischi, si guadagna un rigore, ma poi si rifiuta di calciarlo. Baggio sostituito si avvia verso gli spogliatoi e raccoglie una sciarpa viola lanciata dagli spalti. I fischi diventano ovazioni, le parolacce ora sono applausi.
Non come gli altri, appunto. Forse il primo fuoriclasse moderno consapevole del mondo che lo circonda.
Perché moderno? Perché ha saputo unire tanti aspetti in un unico profilo. La sensibilità, la riservatezza, il forte lato umano che trovano uno sbocco nella scoperta del buddismo negli anni fiorentini, ma anche uno dei primi calciatori globali capaci di costruire attorno a sé un piccolo impero. Sponsor, televisioni, diritti d’immagine, scuole calcio… Oggi sembra normale, ma trent’anni fa non lo era.
Quel campionato termina con la Juventus al secondo posto (a soli tre punti dal Milan), lui è miglior marcatore bianconero ed è al terzo posto della classifica dei cannonieri della serie A. Non ci sono dubbi che sia stato lui a riportare la Juventus a competere per lo scudetto che manca da quelle parti (per gli standard di quelle parti) da troppo tempo. La Juve e Baggio sono pronti a entrare in una nuova fase. L’anno successivo Lippi sostituirà Trapattoni e Torino tornerà a festeggiare. Lo farà per diverso tempo. Ma questa è un’altra storia. In quel dicembre del 1993 quel premio a Baggio cambia tante cose e spiana la strada e i sogni degli italiani verso i mondiali americani. Ci sono grosse aspettative e Baggio è pronto a caricarsele tutte sulle sue spalle e sulle sue fragili ginocchia. Il calcio sta cambiando e l’unico che sembra accorgersene è proprio lui. Roberto Baggio, 26 anni, Pallone d’oro 1993.
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