Si celebra oggi, 6 aprile, la giornata internazionale dello sport per lo sviluppo e la pace.
La data non è ovviamente casuale.
Le prime olimpiadi dell’epoca moderna si aprirono infatti proprio il 6 aprile del 1896.
Noi di Maremosso abbiamo deciso di celebrare questa data così evocativa scambiando quattro chiacchiere con Mauro Berruto, personaggio simbolo del volley italiano, ma anche fermo sostenitore del valore sociale, intellettuale e culturale dello sport.
Berruto è attualmente un deputato del partito democratico ed è il co-relatore della proposta di riforma costituzionale che entro l’estate vedrà l’inserimento dello sport all’interno della nostra Carta.
Vorrei iniziare questa intervista chiedendoti un ricordo di un grande giornalista e tuo concittadino: Gianni Minà.
Per Gianni Minà (ne parliamo qui) lo sport era lo strumento con cui osservare il mondo nella sua complessità.
Faceva parte di quella classe giornalistica che aveva compreso quanto lo sport fosse una lente d'ingrandimento capace di leggere e tenere insieme tutto.
Ricordo quel suo aneddoto in cui raccontava di aver lasciato le Olimpiadi di Atlanta del 1996 con due giorni di anticipo perché gli si era aperta l’opportunità di poter intervistare il sub comandante Marcos. Il suo lavoro era guidato da tre capisaldi: la curiosità, lo stupore e la libertà.
Oggi – rispetto a qualche anno fa – c’è consapevolezza sul fatto che sport significhi tante cose tra cui: diritti, sicurezza, integrazione, cultura ed educazione.
Lo sport è un fatto sociale che ha determinato la storia del Novecento.
Il paradosso del nostro Paese è che spesso questo secolo, così denso di eventi fondamentali per capire la contemporaneità, sia quello più bistrattato dai programmi scolastici. E non c’è dubbio che lo sport sia uno dei principali strumenti per raccontare la società odierna.
Come sta lo sport italiano?
Sta uscendo da un periodo drammatico, come tante altre realtà.
Per lo sport - e per il modello con cui questo è stato organizzato nel nostro Paese - la pandemia e il caro bollette rappresentano ostacoli difficili da superare. Anche se poi siamo stati capaci di costruire un anno fantascientifico come il 2021 in cui abbiamo vinto tutto, dai 100 metri al curling.
Parlavi nella precedente risposta del modello con cui lo sport italiano è stato costruito…
…E ritengo che sia arrivato il momento di un nuovo modello di sport. Dobbiamo cambiare il paradigma.
Quando è nata la Repubblica c’era l’esigenza di creare discontinuità con il ventennio fascista che usava lo sport come strumento di propaganda o di affermazione sugli altri. Creando questa rottura col passato i nostri padri e le nostre madri costituenti hanno deciso di non inserire lo sport nella Costituzione e implicitamente hanno affidato lo sviluppo ai privati, vale a dire alle società sportive finanziate da denaro privato.
Cosa sta succedendo a questo modello?
È in crash con difficoltà evidenti che vanno dalle chiusure degli impianti sportivi alla riduzione del numero dei tesserati.
Per creare un nuovo modello dobbiamo avere uno sguardo sul medio-lungo periodo. Per intenderci non dobbiamo pensare alle Olimpiadi di Parigi del prossimo anno a cui parteciperanno atleti formati. Le chiusure delle palestre e le contrazioni dei tesserati saranno effetti evidenti tra una quindicina d'anni quando i ragazzi di oggi avranno 23 o 24 anni.
Dobbiamo pensare al loro futuro per mettere in moto oggi un cambiamento che avrà un doppio impatto sia in termini di successi sportivi sia in termini di salute.
Martedì scorso, 4 aprile, dopo il Senato anche la Camera dei Deputati ha votato la riforma dell’articolo 33 della nostra Costituzione.
Sono molto orgoglioso di questo momento che è per certi versi storico.
Io sono sia firmatario sia co-relatore di questa riforma. Tra sessanta giorni passeremo alla seconda lettura e poi potremo inviare tutto al Presidente Mattarella senza passare per il referendum.
Se non ci sono intoppi - e al momento non ne vedo – prima dell’estate avremo una riforma epocale e simbolica.
Cosa significa avere lo sport in Costituzione?
Si capirà il diritto costituzionale allo sport che porterà a delle politiche pubbliche per incentivarlo, al di là di idee, genere e disponibilità economica. Ed è bella anche la sua collocazione nell’articolo 33 focalizzato su scienza e arte, ponte tra l’articolo 32 per il diritto alla salute e il 34 sul diritto all’istruzione.
Ti chiedo di commentare questo tuo post su Facebook di qualche giorno fa: «Mateo Retegui esordisce in azzurro, segna e rilascia interviste con il traduttore. Centinaia di migliaia di ragazzi nati in Italia, che vanno a scuola qui e parlano in dialetto lo tifano, da stranieri. Lo sport può anticipare la realtà. O mandarla in cortocircuito.»
Premetto che non ho nulla contro Retegui che ha esercitato un suo diritto, come il CT Roberto Mancini che l'ha convocato.
Però è evidente il cortocircuito. Retegui ha potuto giocare in nazionale grazie alla cittadinanza italiana acquisita per discendenza dal nonno materno, italiano appunto (il cosiddetto ius sanguinis).
Questa situazione stride con gli 800 mila ragazzi italiani di seconda generazione nati in Italia, dove vivono, studiano e fanno sport.
Molti di loro possono partecipare alle competizioni nazionali e diventare campioni italiani, ma fino ai 18 anni non possono rappresentare l’Italia perché senza il passaporto. La soluzione esiste e si chiama ius soli.
Un tuo augurio per questa giornata mondiale dedicata allo sport.
L’augurio di oggi guarda al 6 aprile 2024, quando avremo definitivamente posizionato due pietre miliari per quel cambio di paradigma di cui parlavamo: lo sport in Costituzione e la riforma di legge sul lavoro sportivo che entrerà in vigore a partire dal 1° luglio e che darà dignità a tanti, tantissimi lavoratori.
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