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"Se ce l'ho fatta io, può farcela chiunque". Questa frase pronunciata da Sigfrido Ranucci, verso la fine dell'intervista che gli abbiamo fatto, ci lascia perplessi.
Gli avevamo chiesto un consiglio a chi, giovanissimo, volesse avviarsi a una professione come quella di cui Ranucci è riconosciuto maestro e lui, che ha saputo far luce su segreti inconfessabili attraverso inchieste come quella del 2005 sulle munizioni al fosforo utilizzate dall'esercito americano nella "war on terror" combattuta in Iraq, se ne esce candido con un'affermazione come quella che avete appena letto: se ce l'ho fatta io, può farcela chiunque.
Lecito dubitarne - certe qualità non sono così comuni da trovare, anche in coloro che sono pervasi dal "sacro fuoco" del giornalismo - ma di una cosa siamo sicuri: la sincerità di Ranucci è fuori discussione. Ranucci ha una concezione del giornalismo come di un servizio che bisogna rendere al pubblico, quanto di più lontano da certo protagonismo che impera in televisione e sul web.
Già prima che il suo volto e la sua voce diventassero noti in tutt'Italia, grazie alle coraggiose inchieste proposte da Report (che va in onda da più di ventisette anni, ormai), Ranucci aveva ben chiaro cosa avrebbe voluto fare, quali storie avrebbe voluto raccontare. La sua storia professionale mostra come la sua tensione verso la verità lo abbia ripagato.
Per la prima volta un giornalista coraggioso e indipendente, da anni in prima linea per la difesa della libertà dell’informazione, racconta sé stesso e il suo lavoro.
La scelta (pubblicato dalle edizioni Bompiani) è un libro che ne contiene almeno due: c'è il racconto in prima persona di alcune fra le inchieste più celebri di Ranucci, certo.
Ma la formula che il giornalista ha seguito nel comporre questo libro è completamente originale, e non si limita a proporre una trascrizione su carta di pezzi - pur proverbiali - di giornalismo di inchiesta. Accanto alle storie di quelle inchieste e di ciò che ha comportato realizzarle, tutti i pericoli, tutte le difficoltà, corre parallela un'altra storia, della quale non diremo ma che si inscrive perfettamente in quello che Ranucci definisce "il romanzo dei fatti".
E poi c'è tanto che non sapevamo a proposito dell'autore stesso, delle scelte che ha fatto e che l'hanno condotto fino al punto in cui si trova oggi.
Si racconta della famiglia d'origine - una famiglia semplice, di solidi valori - e della famiglia "acquisita": quella cioè che vede in Milena Gabanelli e in Roberto Morrione due "genitori" professionali, figure importantissime che hanno intravisto in lui quelle qualità per le quali sarebbe poi diventato famoso, e gli hanno inculcato un'etica del servizio pubblico che Ranucci riassume così:
Credo che la RAI nonostante tutto quel che si dice sia un grandissimo luogo di libertà. Io mi sono sempre sentito libero di condurre le mie inchieste. Certo, è faticoso: sei condannato a vincere tutte le querele, ad essere sempre alto, inappuntabile nei contenuti… però è questo lo scopo del giornalismo d'inchiesta. Illuminare zone d'ombra, aiutare un Governo se sbaglia, aiutare il pubblico, avere come unico riferimento il pubblico che paga il canone. Questa è da sempre la mission di Report, che è rimasta il "romanzo dei fatti", semplicemente. Ha conservato il suo DNA.
Ecco: per riuscire nel mestiere del giornalista, interpretato nel modo in cui lo interpreta Ranucci, ci vuole soprattutto l'amore per la verità.
Venite ad approfondire tutto questo nella nostra intervista con Sigfrido Ranucci e tuffatevi nella lettura de La scelta. È un racconto di responsabilità e di amore per la verità.
Buona visione, e buona lettura!
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