La sfida contro la democrazia nel mondo è vincente. Finora, negli ultimi anni, c’è stato un regresso della democrazia: o noi la rendiamo forte, oppure perderemo. E a me la democrazia piace
Strana vita, la mia potrebbe essere il refrain perfetto per una canzone a sfondo autobiografico.
Se Romano Prodi, “Il Professore”, fosse chiamato a mettere in musica la propria biografia, la intonerebbe probabilmente con consumata abilità da crooner, in tono confidenziale e ingentilito da quell’accento dolce che lo ha reso popolarissimo e facile a benvolersi.
Tutto parte dall’Emilia e dalle lezioni politiche della madre, dalle partite di calcio al Campo Volo nella Reggio Emilia rossa degli anni Cinquanta. Romano Prodi si racconta per la prima volta in queste pagine scritte con Marco Ascione, giornalista del «Corriere della Sera».
Ma attenzione a non farsi ingannare dalla bonomia emanata dalla figura del Professore, né dai modi gentili coi quali è solito trattare i suoi interlocutori: chi l’ha fatto, in passato, sottovalutandone le capacità dialettiche, ne è rimasto scottato.
Già: Romano Prodi è un uomo che riserva molte sorprese.
Forse, per raccontare bene questo aspetto del suo carattere, si potrebbe partire da uno dei tanti exploit che il Professore ha portato a termine con successo fuori dalle stanze di università o ministeri. Nel 2020, a 81 anni compiuti, Prodi ha dato l’assalto in sella alla sua bicicletta al Passo dello Stelvio. L’esito dell’impresa era tutt’altro che scontato, ma il nostro l’ha coronato con successo, avendo dalla sua polmoni e gambe da passista che gli hanno consentito di scalare vette anche più impervie dello Stelvio e ne hanno fatto un eccezionale protagonista della vita politica degli ultimi cinquant’anni, nel nostro Paese.
Il colle più insidioso, per ammissione stessa del Professore, non è certo quello cui ha dato l’assalto pedalata dopo pedalata. Molti ancora ricordano, infatti, quella chiamata al Quirinale, nel 2013, che fu sabotata dalla “Carica dei 101”: 101 voti di provenienza mai completamente chiarita, ma in larga misura ascrivibili al cosiddetto “fuoco amico”, che bruciarono anzitempo una candidatura credibile alla Presidenza della Repubblica. Uno strappo mai completamente ricucito, in seno al partito.
Già: il partito. Scuola, piazza, relazione. Prodi non ha reticenze nel denunciare come oggi sia proprio quella dei partiti “la macchina” che andrebbe rimessa in moto, per poter garantire continuità alle riforme. Il riformismo è la linea politica e concettuale nel cui solco il Professore si è inserito sin dall’inizio della sua vita politica, continuando a valutare – al di là di steccati ideologici – quali strade fosse opportuno intraprendere per garantire redistribuzioni sensate, equità e pari opportunità.
Veniamo dopo una generazione di grande progresso e di aumento delle differenze. ‘Riformismo’ vuol dire rimettiamo un po’ di cose a posto, riportiamo tante categorie che sono uscite di scena nel gioco politico
Strana vita, la mia è un libro che Prodi non avrebbe potuto probabilmente scrivere da solo: non perché non ne abbia le capacità, naturalmente, ma perché per mettere su carta una traiettoria umana e politica costellata in modo tanto eterogeneo e significativo da eventi, incontri, cadute e resurrezioni serviva una distanza, pur minima, dal punto di vista dell’osservatore.
Distanza che è stata offerta al racconto del Professore dalla competente opera di Marco Ascione, giornalista di provata esperienza e capace di restituire in pagina un tono, soprattutto.
Il tono di Prodi è sempre piuttosto genuino. Cioè, è un tono accademico, essendo lui fondamentalmente un Professore, ma è anche un tono popolare, all’occorrenza e questa sua matrice di fatto gli ha attirato molte simpatie, ma anche delle antipatie, ovviamente
Prodi emana una serietà da civil servant che, specialmente in tempi come quelli che stiamo vivendo, ispira fiducia. Tempi in cui un tweet può pesare quanto una campagna elettorale. Tempi in cui una figura autorevole può assolvere con responsabilità al proprio mandato e garantire stabilità.
E quando il gioco si fa duro, Romano Prodi rammenta la prima lezione di politica che fu sua mamma ad impartirgli, l’indomani del referendum per decidere fra monarchia e repubblica. Quando il piccolo Romano chiese a sua mamma perché – contrariamente alle sue aspettative di bambino – avesse apposto il proprio segno accanto a “Repubblica”, Enrichetta, maestra elementare e mamma di nove figli, gli rispose. “… perché i Re non scappano!”
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