Essere invisibilmente presente in un luogo era il sogno di uno dei più grandi scrittori e intellettuali del Novecento italiano, Italo Calvino.
Nato un secolo fa a Santiago de las Vegas, nell’isola di Cuba, trascorse l’infanzia e la giovinezza con la famiglia, nel ventre ligure, circondato da piante di edera e buganvillea. Viaggiatore alla costante ricerca di un altrove, nelle sue Lezioni americane scriveva:
La mia fiducia nel futuro della letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici
Sei proposte per il prossimo millennio, nate come una serie di conferenze progettate per l’università statunitense di Harvard. Calvino le scrisse in buona parte nell’estate del 1895 ma poté concluderne solo cinque, né poté pronunciarle, perché la morte lo colse prima, dopo una breve e improvvisa malattia.
Da Sanremo a Torino, dagli Stati Uniti a Parigi, e poi a Cuba e nell’Italia capitolina, molti sono stati i rifugi letterari di questo raffinato prestigiatore delle parole.
Ma è la Liguria ad aver rappresentato il luogo dell’anima per Calvino: in questa terra ha infatti ambientato alcune delle sue opere: Il sentiero dei nidi di ragno, un romanzo del 1947 nato dalla sua esperienza partigiana e a cui Cesare Pavese ha dedicato profetiche parole: «L’astuzia di Calvino, scoiattolo della penna, è stata questa, di arrampicarsi sulle piante, più per gioco che per paura, e osservare la vita partigiana come una favola di bosco, clamorosa, variopinta, “diversa”[…]»; Il barone rampante, un romanzo fantastico edito nel 1957 che Mario Barenghi, nel suo libro Calvino, descrive come «Romanzo di formazione, fiaba geometrica, pastiche storico, conte philosophique […]»; e ancora Ultimo viene il corvo, una raccolta di trenta racconti brevi pubblicata nel 1949; La formica argentina, racconto pubblicato nel 1952 che «descrive con assoluta esattezza la situazione della invasione delle formiche argentine nelle coltivazioni a San Remo […]» e La speculazione edilizia romanzo realistico pubblicato per la prima volta nel 1958 in cui Calvino racconta «[…] la storia d’un fallimento […] per rendere il senso di un’epoca di bassa marea morale».
Palcoscenico della sua vita sono state anche Torino, sede della casa editrice Einaudi con cui ha collaborato per molti anni, e la Ville Lumière, «il luogo ideale» in cui ha vissuto dal 1967 al 1980 con la moglie Esther e la figlia Giovanna e che definiva «una gigantesca opera di consultazione. […] una specie di enciclopedia» da cui assorbire il nettare della conoscenza. In un’intervista registrata a Parigi nel 1974 disse:
Mi è difficile stabilire un rapporto personale con i luoghi. Come nel mio libro Le città invisibili in cui c’è questo trasformarsi delle singole città in una città unica, in una città continua». Molti dunque i punti di partenza e di arrivo costellati da spazi vuoti – «Un vuoto sopra le nubi per i viaggi internazionali e sotto terra all’interno della città
E molte le voci di questo emblematico personaggio della letteratura italiana: «Quella notte, benché stanco, Medardo tardò a dormire. […] In cuore non aveva né nostalgia, né dubbio, né apprensione. Ancora per lui le cose erano intere e indiscutibili, e tale era lui stesso. Se avesse potuto prevedere la terribile sorte che l’attendeva, forse avrebbe trovato anch’essa naturale e compiuta, pur in tutto il suo dolore. […]», da Il visconte dimezzato (1952).
Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l’attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto. Invece […] non c’era tafano sul dorso d’un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento, scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza
«In mezzo alla città di cemento e asfalto, Marcovaldo va in cerca della Natura. Ma esiste ancora, la Natura? Quella che egli trova è una Natura dispettosa, contraffatta, compromessa con la vita artificiale. Personaggio buffo e melanconico, Marcovaldo è il protagonista d'una serie di favole moderne, dove Italo Calvino va segnando, come in un suo blocknotes segreto, avvenimenti impercettibili nella vita di una grande città industriale.
Scrive nella raccolta di novelle Marcovaldo, pubblicata nel 1963. E ancora «Intorno alla casa del signor Palomar c’è un prato. Non è quello un posto dove naturalmente ci dovrebbe essere un prato: dunque il prato è un oggetto artificiale, composto di oggetti naturali, cioè erbe […]» da Palomar (1983).
Nel labirinto metafisico delle sue storie, l’architetto delle Città invisibili amava raccontare il paesaggio interiore attraverso l’espediente narrativo dell’autobiografia indiretta.
"Le città invisibili" si presenta come una serie di relazioni di viaggio che Marco Polo fa a Kublai Kan imperatore dei Tartari. A questo imperatore melanconico, che ha capito che il suo sterminato potere conta ben poco perché tanto il mondo sta andando in rovina, un viaggiatore visionario racconta di città impossibili
Bisogna partire sempre da ciò che si è
È questo raffinato svelamento dell’io a rendere la scrittura di Calvino ancora oggi contemporanea. È questa armonia fra realismo oggettivo e invenzione fantastica a rendere unico il tratto di una personalità che si è distinta nel Bel paese per la sua cifra stilistica sperimentale e avanguardistica. Nel saggio Italo Calvino. Le linee e i margini Mario Barenghi scrive:
Se per parlare della società presente Calvino ricorre ad allegorie araldico-cavalleresche, favole urbano-industriali, viaggi attraverso immaginari imperi, cosmogonie, escursioni nella filogenesi degli anfibi e dei molluschi, per parlare dell’uomo riduce l’umanità a lucenti scaglie di autocoscienza e di facoltà percettive, da Agilulfo a Qfwfq.
Le Fiabe italiane racchiudono il tesoro della tradizione fiabistica popolare. Da quello scrigno Calvino stesso ha selezionato per i più piccoli queste storie, in cui le vite di persone e animali si intrecciano a magia e meraviglia senza tempo.
Con le Fiabe italiane invece, capolavoro del 1956 che custodisce un immenso patrimonio fiabesco popolare, Calvino avvicina i lettori più piccoli (e non solo) alla realtà ricamandola con finissimi fili d’oro:
Per due anni ho vissuto in mezzo a boschi e palazzi incantati […] Ogni poco mi pareva che dalla scatola magica che avevo aperto, la perduta logica che governa il mondo delle fiabe si fosse scatenata, ritornando a dominare sulla terra. Ora che il libro è finito, posso dire che questa non è stata un’allucinazione, una sorta di malattia professionale. È stata piuttosto una conferma di qualcosa che già sapevo in partenza […]: le fiabe sono vere.
È trascorso molto tempo dall’esordio letterario di Calvino tuttavia la linea immaginaria con cui lo scrittore ha tracciato affascinanti mondi combinatori abita ancora oggi la memoria collettiva del popolo italiano ed è grazie a questo dono se a distanza di anni possiamo viaggiare con la sua mappa cosmica e attraversare le radici del fantastico senza perdere la via.
Il lettore è il protagonista del libro. È la sua attesa della lettura che deve dare ritmo al libro
Tanti sentieri dunque ma un solo fuoco che conduce al bosco narrativo calviniano in cui la parola si fa casa in ciascuno di noi.
Di
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