Se ti piace questo libro potrebbe piacerti quest'altro libro. L'algoritmo centrale di ogni libreria online nasce su un principio intuitivo che ha preso piede in molte librerie fisiche da almeno una trentina d'anni, dove l'algoritmo era (ed è) il libraio. È un aiuto prezioso per gran parte dei lettori, soprattutto di fronte alla benemerita abbondanza di titoli che l'editoria è in grado di proporre. Ciò che l'algoritmo non riesce a fare è scovare le risonanze, il riverbero tra titoli capaci al tempo stesso di proporre letture molto diverse.
Tanto più in quella terra di nessuno fra saggistica e narrativa, proprio dove troviamo Mathias Énard e Telmo Pievani. I due non si conoscono; sono coetanei ma hanno una formazione differente: storico dell'arte e orientalista il primo, filosofo della scienza ed evoluzionista il secondo. Hanno scritto da poco Il banchetto annuale della confraternita dei becchini (edizioni e/o) e Finitudine. Un romanzo filosofico su fragilità e libertà (Raffaello Cortina). Énard è uno dei migliori scrittori d'Europa, un Kubrick della letteratura, nel senso che ogni romanzo ha tema, cifra narrativa e stilistica differente; insomma gli piace misurarsi con l'invenzione letteraria e ci riesce benissimo. Ne Il banchetto seguiamo le mosse di un giovane antropologo impegnato in una ricerca in una zona rurale della Francia (quella dove Énard è nato) ricca di Storia e soprattutto di personaggi come ne potremmo trovare nella nostra provincia profonda. Ma questo è solo l'inizio di un romanzo caleidoscopico, che esplode nelle pagine dedicate al banchetto (ne esiste uno reale di una reale Confraternita dei Becchini che accomunava ebrei, cristiani e islamici, ma a Praga): puro Rabelais 2.0, vertiginose descrizioni di decine di piatti bizzarri e sofisticati che vorremmo assaggiare, tutti, ma possiamo solo immaginare. Il giovane antropologo, alla fine, diventerà qualcosa d'altro (no spoiler) Perché i becchini? Il leit-motiv è la morte, e la Ruota delle reincarnazioni intesa in senso laico, che coinvolge tutti i personaggi nel contesto per nulla spirituale e metafisico della campagna sopra Bordeaux. Insomma: la Storia e la Filosofia, faccia a faccia con le nostre radici culturali e religiose che ci hanno spinto verso l'idea di possedere la Natura (come suggerito dalla Genesi) quando non possediamo, non conosciamo né mai potremmo farlo, la cosa che della quale siamo inequivocabilmente sicuri, la nostra finitudine.
Vero, la morte resta di per sé nella sfera dell'inconoscibile, ma possiamo andare a fondo alle nostre idee sulla morte e a tutti i loro perché.
Con Finitudine, Pievani ci porta alle radici biologiche, cognitive, culturali di quel concetto di fine che non riusciamo a mandar giù, tanto più se si tratta della nostra. Poteva scrivere un saggio ma ha scelto un'altra strada. Le sue riflessioni filosofiche, storiche e scientifiche sulla morte sono infatti scandite da tre testimonial d'eccezione: l'umanista Albert Camus, il padre della biologia e della genetica moderna, Jacques Monod, e Lucrezio. Pievani immagina che Camus e Monod abbiano scritto un libro insieme (e avrebbero potuto farlo); il contenuto dei loro dialoghi, pura fiction ambientata con scaltrezza nel 1960, dovrebbero entrare nel nostro bagaglio esistenziale tanto quanto gli estratti del De rerum natura di Lucrezio che introducono le riflessioni di Pievani, chiare, spietate, argomentate e scritte con una prosa d'eccezione. La consapevolezza della finitudine va a braccetto con quella del limite: la vita del pianeta e la nostra sulla Terra, e che proprio questi limiti che tanto ci angosciano e ci rendono fragili sono la chiave della nostra emancipazione personale e collettiva, la vera libertà alla quale dovremmo ambire. Nessuno sconto per i credi e tutte le possibili forme di aldilà (comprese le fantasia transumaniste), ma un impeccabile ricognizione sul legame tra l'evoluzione della mente umana e la nostra ineluttabile inclinazione ad interpretare la realtà in termini finalistici, progettuali, intenzionali.
Per quel che ne sappiamo, siamo un magnifico accidente biologico, il nostro numero è uscito alla roulette cosmica, e per quanto sia difficile farsene una ragione è proprio attraverso questa consapevolezza che potremmo vivere molto meglio, gustandoci la vita, le pietanze del banchetto di Énard. Non c'è bisogno di essere schiavi di illusioni spirituali e metafisiche. Certo queste illusioni ci hanno aiutato a dare un senso a quel che (non) sapevamo del mondo e dell'universo, alla nostra storia collettiva e individuale, ma le credenze animistiche vecchie e soprattutto nuove che infiltrano anche le scienze antropologiche più recenti e cavalcano il pensiero magico in circolazione su Internet sono un rifugio del quale potremmo farne a meno. In altre parole la conoscenza del ventunesimo secolo ha ben altre frecce nel proprio arco che resuscitare il pensiero sciamanico: non è questione di opinione ma di vivere meglio per, non secondario, morire meglio. All'universo e alla Natura non importa niente dell'uomo, è indifferente, ma l'uomo può vivere armonicamente con la natura e soprattutto con l'Altro se si sbarazza dei propri fantasmi, compresi quelli nichilistici.
Possiamo godere di queste letture proprio perché parlano della morte, strano a dirsi ma è così. Confrontati alla morte, capiamo molto della vita, di noi stessi, di cosa conta veramente, delle relazioni umane... perché forse è questo il vero punto di incontro tra i due libri, la loro morale: siamo fatti di relazioni, spesso storte, sincopate, nevrotiche, ma alla fine sono quelle che ci danno il senso della vita, quella voglia costante di spingere la notte più in là, di vedere oltre l'orizzonte. E possiamo smettere di cruccirci per cose che a ben vedere non hanno senso: non vogliamo morire perché vogliamo sapere cosa c'è nel futuro, ma non abbiamo lo stesso rincrescimento perché non sappiamo com'era vivere nel Neolitico, al tempo dei romani o nel Rinascimento.
Énard (ospite d'onore della prossima edizione di Dedica, Pordenone) e Pievani sono ottimi commensali al banchetto dei becchini; dunque, perché non approfittare di un posta a tavola in loro compagnia?
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