Tutti abbiamo in mente almeno un personaggio, un episodio, una battuta dei Promessi sposi: il romanzo è nella coscienza degli Italiani
I Promessi sposi di Alessandro Manzoni è un romanzo che fa parte della nostra formazione e che non ha bisogno di presentazioni, perché durante il percorso scolastico ognuno di noi si è trovato a leggerlo e studiarlo. Ma lo abbiamo veramente capito, apprezzato, e ne abbiamo valutato la portata sull'immaginario collettivo e sulla formazione della nostra identità nazionale? Forse perché ne affrontiamo la lettura troppo presto o la viviamo come un obbligo scolastico, molti di noi avrebbero bisogno di rileggerlo, riscoprirlo, riprendendolo in mano con occhi diversi, senza i pregiudizi che spesso lo accompagnano. Lo suggerivamo già in questo nostro articolo.
Se vogliamo che questa rilettura sia ancora più illuminante, possiamo farci guidare da Romanzo popolare. Come i «Promessi sposi» hanno fatto l'Italia, interessante saggio scritto dallo storico Roberto Bizzocchi, che ci offre un'interpretazione meno letteraria e più politica del classico manzoniano.
Per obbligo e per piacere, quasi tutti abbiamo letto i Promessi sposi. Una diffusione enorme che ha reso i personaggi, tanti episodi, tante espressioni tipiche familiari, anzi proverbiali della nostra cultura. Un romanzo che ha davvero fatto l’Italia, almeno nei suoi aspetti migliori, grazie a un messaggio politico e pedagogico che è tempo di riscoprire.
L’autore ci guida ad una riscoperta del Manzoni pensatore in grado di dialogare con il circolo intellettuale che ruotava intorno alla figura di M.me de Staël, che Stendhal descrisse come "il quartier generale del pensiero europeo"; ancor più rilevante fu che lo fece da un Paese, l’Italia, non ancora Nazione, frazionato in vari regni, tra cui quello Lombardo-Veneto dove Manzoni viveva, soggiogato a quell’impero Austro-Ungarico “prigione dei popoli”.
Manzoni è un pensatore radicale, animato da forti passioni politiche e consapevole di vivere a cavallo di due secoli: il '700 Illuminista, razionalista e rivoluzionario che ha forgiato una nuova coscienza di “cittadino” non più suddito, e l’800 della Restaurazione del Congresso di Vienna. Egli è profondamente imbevuto del razionalismo illuminista, che traghetta nel nuovo secolo perché portatore di un'eredità imprescindibile, cui fa da contraltare la sua altrettanto profonda religiosità cattolica, che non scade però nella deriva bigotta e restauratrice dell'inizio dell'800. Egli è un "patriota non nazionalista”, come lo definisce Bizzocchi: pur essendo il primo dei Romantici italiani, non si fa trascinare nella visione romantica del “nazionalismo del sangue” e nell'idea delle Nazioni come realtà contrapposte e in guerra tra loro, che in modo tanto funesto peserà poi sugli sviluppi futuri dell’Europa.
Per farci capire e apprezzare la profondità del pensiero manzoniano, Bizzocchi ci guida attraverso le opere cosiddette “minori” nelle quali prende forma e spessore, non sempre in modo lineare, la riflessione che trova poi suo pieno compimento nel romanzo.
Ed è qui che Manzoni rivela il suo essere pensatore tutt'altro che moderato. Nei Promessi sposi egli dà vita ad un’operazione propagandistica colossale, racchiudendo nel romanzo un progetto politico innovativo e rivoluzionario di un'Italia unita da un’identità pubblica in chiave cosmopolita e non nazionalista guidato da una morale privata basata sulla libertà di scelta e sulla responsabilità individuale.
E lo fa spostando per la prima volta il focus della narrazione storica dagli eventi e dai personaggi “alti” ad una narrazione della storia del popolo e delle genti: gli eroi del romanzo sono due popolani, attraverso la cui storia travagliata il lettore guadagna una percezione acuta dell’ingiustizia dei contesti sociali, degli abusi del potere, della cialtroneria di certi governanti e dell'importanza morale delle scelte e azioni dei singoli. Aggiungendo, inoltre, una visione piuttosto nuova del ruolo della donna, dalla parte di cui Manzoni si schiera e a cui attribuisce una forza e capacità di autodeterminazione decisamente moderna rispetto ai tempi in cui scrive e rispetto al '600 in cui ambienta la narrazione.
La stessa forma stilistica del romanzo concorre al progetto. Non a caso l’opera avrà più stampe e revisioni linguistiche al fine di renderla un’opera sul popolo per il popolo. Manzoni abbandona il linguaggio aulico e classico degli intellettuali dell’epoca per scrivere un’opera comprensibile per il popolo, rivedendone l’impianto stilistico a più riprese, sino a giungere a compimento con l’edizione del 1840 riscritta, per così dire, in dialetto fiorentino, scelto per il suo lessico pratico e realistico parlato da nobili e popolani che la rendeva una lingua più efficace e universale. Una scelta che avrà grandissimo influsso sulla nascita della lingua italiana del futuro Regno d’Italia.
E questo ci porta ad un'idea cardine del pensiero manzoniano, secondo cui la lingua e non il sangue è il vero collante identitario di un popolo. Già solo da questo si coglie quanto sia ancora attuale il progetto politico del Manzoni, dato che a distanza di poco meno di due secoli dalla prima edizione de I Promessi Sposi ancora oggi in Italia si discute di Ius sanguinis, Ius soli e Ius scholae.
In definitiva, quindi, in questo saggio così come nel romanzo di cui si occupa, ci sono moltissimi spunti per riflessioni oggi più che mai attuali e importanti e attraverso la lettura dell’uno non può che scaturire la curiosità e la voglia di leggere anche l’altro, finalmente con occhi nuovi e una nuova consapevolezza per chi già lo conosce, e con rinnovata curiosità per le nuove generazioni. Perché Manzoni possa essere una guida utile a plasmare un'Italia maggiormente aderente al messaggio ideologico dei suoi Promessi Sposi.
Manzoni ha parlato agli Italiani della loro storia e della loro identità, ponendo problemi che restano centrali e indicando soluzioni che ancora ci riguardano, noi tutti e non meno degli altri i più giovani fra noi
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