Torna in libreria Aldo Nove con Pulsar (Il Saggiatore) ed è un ritorno importante per uno degli scrittori più significativi della narrativa italiana degli ultimi lustri. Dopo un periodo di assenza motivato da ragioni sia personali che editoriali, Nove costruisce un mondo narrativo fatto di lirismo e nostalgia, un canto trasognato della sua infanzia perduta. La pulsar del titolo evoca la forza esplosiva degli anni dell’infanzia che influenzano in maniera indelebile il nostro stare al mondo.
Pulsar comincia nel 1967. In quell’anno nasce la voce che racconta questa storia. Una voce che racconta dell’amore per sua madre, per i suoi nonni; che parla di Viggiù e della sua infanzia. L’infanzia è infatti la stella pulsante nelle vite di ciascuno di noi, le cui onde influenzano chi siamo e soprattutto chi saremo.
È così è anche per Nove che parte nel suo racconto dal 1967, anno della sua nascita, e da Viggiù, suo paese d’origine:“Madre. Africa pulita e rigogliosa del bacino continentale feto. Terra. Approdo e dirigibile neurologico, infantile. Viggiù. Mio padre”.
Nove passa in rassegna anno dopo anno la sua vita di bambino, i suoi incontri, i suoi affetti e le sue ossessioni che si incrociano con i grandi eventi della storia, tutti filtrati dallo sguardo pervasivo della televisione: “Con i figli una sera andavamo fuori dalla porta sulle scale a ridere di Topo Gigio che aveva la voce raffreddata e si muoveva piano piano come gli uomini che erano andati sulla luna a Carosello e i baffi sottili dei personaggi del villaggio messicano di Speedy Gonzales”. Indugia sui dettagli di quegli anni perduti Nove e lo fa con una prosa che alterna scatti lirici e leziosi periodi riflessivi, mescidando la sua voce narrante con lo sguardo affamato e curioso di un bambino che affronta anche i dolori immerso in trame fiabesche: “La notte che è morto mio nonno alla tele hanno fatto vedere Pinocchio che scappava per le strade piene di sassi di un paese di tanti secoli fa. Senza che mio nonno mio padre mia madre lo sapessero quattro ore prima che accadesse la morte di mio nonno Pinocchio entrava nel teatro di Mangiafuoco i burattini senza vita lo chiamavano forte gli dicevano Pinocchio vieni con noi nel mondo infinito come hanno fatto con mio nonno di notte quattro ore più tardi gli angeli del mobile chiuso delle calze”.
L’infanzia per l’autore termina nel 1980, con la morte di Ian Curtis (“Ian Curtis quando cantava consegnava agli anni i decenni dispersi e le decadi ammutolite nella provincia dell’impero”).
Le pagine finali dell’opera attraversano con rapidità e disperazione i decenni della vita adulta dell’autore, mescolando vita privata e tragedie collettive, Alfredino Rampi, Gioventù Cannibale, il crollo delle Torri Gemelle, Taylor Swift e il lockdown, con una messa in discussione dell’oggi, “in cui tutto è diventato virtuale, pure la successione degli equinozi, nel silenzio delle sparatorie”. È un testo coraggioso Pulsar, che osa nella forma, che s’allontana dalla lingua stereotipata di molta narrativa contemporanea e ci riconsegna un autore con una visione mai scontata delle cose.
Coraggiosa è anche la casa editrice Il Saggiatore che non solo ha deciso di pubblicare questo titolo ma ha cominciato la ripubblicazione di tutte le opere di Nove, a partire da quel testo seminale che è stato il suo esordio Woobinda.
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