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La scommessa di Putin di Sergio Romano

A marzo, quando l’esercito russo aveva da poco scavalcato il confine ucraino, ho ascoltato una diretta di Maura Gancitano e Andrea Colamedici. I filosofi di Tlon riflettevano sul bisogno di educarsi alla complessità, prendere posizione di fronte alle macerie di Mariupol, ai luoghi vuoti, alle preghiere, ma farlo in modo critico, al netto del caos che contorna la guerra. L’invito, molto gramsciano, era a non restare indifferenti e a scendere in profondità, nell’idea che, tra i social e un feroce aggiornamento dei fatti, qualcosa della complessità di questo scontro sfuggisse.

A tradurre le tonalità di un antagonismo che parte da lontano può aiutare il saggio di Sergio Romano La scommessa di Putin, appena uscito per Longanesi: un libro snello e acuto, che anziché ricapitolare cronachisticamente quanto accade, si sforza di comprendere come si è arrivati a una rottura tra nazioni sorelle nel cuore dell’Europa.

La scommessa di Putin. Russia-Ucraina, i motivi di un conflitto nel cuore dell'Europa

Credevamo che la fine della Guerra fredda con la caduta del muro di Berlino rendesse le guerre europee sempre più improbabili. Ma stiamo invece constatando che le due maggiori potenze del mondo euro-atlantico (la Russia e gli Stati Uniti) si stanno facendo una guerra per procura in Ucraina, nel cuore dell'Europa. Quali sono i reali motivi del conflitto? Quanto contano il carattere di Putin e quello di Zelens'kyj?

Lo sguardo è quello di un uomo che è stato ambasciatore in Unione Sovietica negli anni delicati della perestroika, editorialista del Corriere della Sera, oggi tra i massimi esperti di storia e società russe. E con l’accuratezza di chi conosce i fatti, Romano indietreggia fino al nocciolo, al punto dove tutto sembra precipitare: lo smembramento dell’Unione Sovietica, che sbandierò la morte del comunismo moscovita e la conversione al nazionalismo. Scrive l’autore: «La caduta del muro di Berlino e la fine della Guerra fredda hanno completamente alterato questi equilibri, mentre la crisi dei partiti comunisti metteva in discussione le ragioni stesse dell’esistenza dello Stato sovietico. Quale sarebbe stata la sorte di un Paese nato da una ideologia che aveva promesso un mondo nuovo e che non credeva più nelle sue promesse? Come sarebbe sopravvissuto?» Provarono a rispondere Gorbačëv e Boris El’cin, e Romano analizza i due modi opposti di intendere il futuro a un passo dall’Occidente.

Di pagina in pagina ci spostiamo dalle ragioni dell’invaso a quelle dell’invasore, da chi aggredisce a chi resiste. A est la Russia, succube dei manifesti bellicosi di Putin; dall’altro lato l’Ucraina, che nel nome contiene quel suo stare sul filo, sempre a metà, sempre terra di confine (nell’antico slavo orientale: u “vicino” e okraina “frontiera”). E in effetti «il Paese non ha mai smesso, nel corso della sua storia di vivere fra due Stati, fra blocchi ideologici diversi e anche in molti casi fra le grandi confessioni religiose che hanno messo radici nella regione e non hanno mai smesso di guardarsi in cagnesco: il cristianesimo in tutte le sue maggiori varianti, l’ebraismo, l’Islam». Da qui, il paradosso di un luogo «troppo storicamente legato alla Russia per diventare un potenziale nemico (come sarebbe accaduto se fosse divenuto un membro della NATO). Ed è troppo orgogliosamente nazione per diventare un satellite della Russia».

Si legge in un sorso questo saggio, ritmato da capitoli asciutti ma ben documentati. Con la penna pulita e una lucidità che non sbrodola, Sergio Romano tocca le domande suscitate da una guerra tanto “visibile” e in fondo non così inattesa. Perché è la restaurazione che Putin vagheggia da sempre, nostalgicamente e subdolamente, ignorando ciò che non gli torna utile, parlando di «una Ucraina nazificata, di un Paese che non sarebbe mai esistito come nazione e che non diventerà mai tale». Rovinato dall’ambizione di ripristinare l’aura che faceva grande la Russia degli zar e poi l’Impero sovietico, «proclamandosi “conservatore liberale” è convinto di aver creato un nuovo sistema politico, un nuovo regime e, forse, una nuova dinastia. È convinto che questa nuova Russia gli appartenga e non può tollerare che al vertice del suo Stato possa sedere una persona scelta con i criteri dell’alternanza democratica».

Di lui si racconta, in parallelo con Zelens’kyj, andando poi, rapidamente, al doppio effetto delle sanzioni, a una pace complicata, alla postura degli Stati Uniti che sembrano non aver mai scordato la diffidenza da Guerra fredda. Fino alla riflessione, amara e indiscutibile, su quanto stretti siano i lacci che ci annodano all’est del mondo.

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Sergio Romano (Vicenza, 1929) è stato ambasciatore alla NATO e, dal settembre 1985 al marzo 1989, a Mosca. Ha insegnato a Firenze, Sassari, Berkeley, Harvard, Pavia e per alcuni anni all’Università Bocconi di Milano. È editorialista del «Corriere della Sera» e di «Panorama». Tra i suoi ultimi libri pubblicati da Longanesi: La quarta sponda (2005, nuova edizione 2015), Con gli occhi dell'Islam (2007), Storia di francia, dalla Comune a Sarkozy (2209), L'Italia disunita, con Marc Lazar e Michele Canonica (2011), La Chiesa Contro (2012), Morire di democrazia (2013), Il declino dell'Impero americano (2014), In lode della guerra fredda. Una controstoria (2015), Putin (2016), Trump (2017), L'epidemia sovranista (2019).

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