Nessuno immaginerebbe che per la maggior parte della mia vita adulta, e per tutta la durata del mio matrimonio, io abbia cercato di diventare l'opposto di me stessa!
Leggendo le prime pagine del romanzo di Meg Mason mi sono subito imbattuto in questa frase che la protagonista della storia, Marta Friel, ci presenta come introduzione alle sue vicende di vita.
Meg Mason ha scritto un romanzo unico, diventando un cult celebrato da lettori e librai e in corso di pubblicazione in tutto il mondo. Perfetto per tutti coloro che almeno una volta nella vita si sono sentiti sbagliati.
E già da questa frase mi è sorta subito una domanda: cosa significa diventare "opposta di me stessa"? (Che è poi il titolo del romanzo).
Opposto: "aggettivo" - "Di cose in contrasto con altre o che tendono alla reciproca esclusione; contrario, antitetico, divergente", così recita il vocabolario.
Ma se questo concetto lo dobbiamo applicare al nostro "essere", cercare nella propria vita di diventare l'opposto di quello che si è vuol dire vedersi completamente sbagliato come essere umano. E questo è un bel problema psicologico...
Martha Friel è una donna alla soglia dei 40 anni, sposata con Patrick, un uomo che è sempre stato nella sua vita fin da quando si sono conosciuti da piccoli. Figlia di due genitori artisti un po' eccentrici, come il padre poeta, definito da qualche critico "la versione maschile di Sylvia Plath", e la madre scultrice, ritenuta dal Times "un'artista di second'ordine", Martha ha anche una sorella di nome Ingrid, sposata e con quattro figli:
"Anche se siamo così simili, la gente pensa che Ingrid sia più bella di me, ne sono consapevole fin da quando eravamo ragazze. Una volta lo dissi a mio padre che commentò 'può darsi che la gente noti prima tua sorella, ma poi si fermerà a guardate te!' "
E poi c'è il suo lavoro, la scrittrice di "una spiritosa rubrica di cucina" e non solo.
Visto così sembrerebbe una vita quantomeno felice e destinata ad un certo benessere. Invece si rivela proprio l'opposto, appunto: dopo la festa dei suoi quarant'anni, Patrick, l'uomo che la venerava, se ne va lasciandola sola e costringendola a tornare a vivere dai genitori. E anche il lavoro non produce più niente degno di nota. Pure gli amici non ci sono più come prima. Tutto sembrerebbe portarci dentro una storia come tante, con un pizzico di romanticismo, una bella dose di destino che cambia le nostre traiettorie di vita, per finire con una spruzzata di banalità e luoghi comuni sulla vita di coppia e sulle dinamiche familiari.
Niente di tutto ciò, perché la storia di Martha esplode fra le pagine con tutta la sua profonda complessità e ci porta su un territorio opposto (ritorna questo aggettivo) a quello che si poteva immaginare.
Con una scrittura pura, diretta, fluida, quasi sprezzante ma anche piena di ironia, humor inglese e sarcasmo, la scrittrice ci consegna un personaggio che non può non coinvolgerci, appassionare e quasi commuovere nella dichiarazione e narrazione della propria malattia. Sì, perché il tema fondamentale del libro è proprio questo, il "Male oscuro", la depressione, il non riconoscere la propria immagine interiore e in generale non sentirsi adeguati.
È come entrare al cinema mentre fuori c'è luce e rimanere scioccata quando esci, perché non ti aspetti che sia già calato il buio
Una malattia che Martha ci descrive con stupore, con dolore, con rabbia ma sempre in modo sincero e onesto senza disperazione.
A meno che io non vi informi del contrario, durante i miei vent’anni e per la maggior parte dei trenta, sono stata depressa a intervalli, depressa leggermente, moderatamente, gravemente, per una settimana, due settimane, sei mesi, sempre […]. Ma gli intervalli nel mezzo erano abbastanza lunghi da farmi pensare che ogni episodio fosse a sé stante, con una sua causa particolare e concreta, anche se la maggior parte delle volte faticavo a identificarla.
Ci racconta di quando è iniziata, dopo un esame di francese; di come si è sviluppata chiusa nella sua stanza senza mangiare, senza dormire di notte e senza muoversi di giorno, spesso nascosta sotto la scrivania; degli incontri con dottori e psicologi che faticavano a capirne la reale natura e diagnosi.
Ma questa narrazione è la parte più intensa del romanzo, raccontata con delicatezza ma che scava nell'animo umano e nella vita di una persona e che ci ribalta lo stomaco per cercare dove questa tristezza, questa inadeguatezza si sia generata e da dove prende linfa, nelle pieghe di tutte le dinamiche di rapporti umani che la vita ci porta a "vivere"
Un viaggio nelle nostre debolezze, potremmo pensare, ma che in fondo non sono nostre ma della società in cui viviamo.
Penso che il cuore di questa malattia sia legato alla figura della donna e al tema della maternità; infatti, Martha potrebbe aver perso la sua vitalità e la sua identità il giorno in cui ha capito che sarebbe stato meglio non rimanere incinta.
Un tema questo che riguarda tutte le donne e che sta alla base di una ricerca che dura da millenni, il ruolo centrale nella nostra società della figura femminile e che ognuno deve sviluppare come ritiene più opportuno e non come impone il sistema, perché il rischio è proprio quello di ammalarsi quando si è l'opposto di quello che il pensiero comune ci considera.
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