Orsola ha sempre offerto di sé al mondo l’immagine di una donna brillante, quasi perfetta: è colta, intelligente, pragmatica, ha una vita serena che si è costruita nel tempo e che le sembra quasi inscalfibile. Ha poco più di trent’anni, vive in un bel quartiere di Roma, ha un lavoro stabile e colleghi che la stimano, ed è riuscita a crearsi quella famiglia che sognava già da ragazzina: un marito, due figli, un cane. Una quotidianità da affrontare in modo razionale, il tempo da gestire con criterio per riuscire a far quadrare tutto, ma, nel complesso, nessuna nuvola a offuscare il proprio orizzonte, nessun problema, nessun motivo di preoccupazione.
Per questo la terza gravidanza non la spaventa – al contrario: l’ha desiderata fortemente, l’ha immaginata serena come le due precedenti e fatica a comprendere preoccupazioni e superstizioni delle donne che incontra alle visite ginecologiche – è convinta, in definitiva, che nulla di brutto possa accaderle. In uno studio medico, un pomeriggio dell’agosto del 2016, scopre che non è così: il feto presenta delle anomalie che mettono a forte rischio la sua gravidanza, e lei si trova costretta a una scelta che non aveva nemmeno mai immaginato per sé: sottoporsi a un aborto terapeutico.
La storia vera di una donna che, attraverso la scrittura, cerca di rimettere insieme i pezzi di una vita che si è smontata e su cui pesa lo stigma di una società cattolica e giudicante. Una denuncia potentissima a sanità e società italiana, che condannano le donne a rimanere sole di fronte a una scelta, comunque, dolorosa e irreversibile.
Quella di Orsola, da adesso in poi, diventa la cronaca di un percorso a ostacoli. Rimbalzata da medici obiettori tra un ambulatorio e l’altro, lasciata sola persino dalla ginecologa che la seguiva, cerca disperatamente qualsiasi informazione possa esserle d’aiuto e si ritrova a combattere perché le venga erogato un servizio cui ogni donna ha diritto, anche se a nessuno sembra importare più di tanto: Qui non è possibile, l’unico medico che fa queste cose è in ferie e non sappiamo quando torna è una delle frasi che si sente rivolgere durante la sua ricerca. E anche una volta trovata la strada da percorrere, rimangono l’incertezza, l’impossibilità di riuscire a chiarire i propri dubbi, di avere informazioni, di ottenere un po’ di conforto contro la paura – o anche semplicemente un luogo dignitoso dove poter interrompere la propria gravidanza:
Più che un reparto sembra un sottoscala, un’enorme recinzione di plastica delimita i confini del pavimento rotto, tutto è vecchio e malridotto. Se devi partorire un figlio sano puoi andare al primo piano, se devi abortire ti nascondono in cantina.
Il Consolo è un romanzo sull’esperienza personale dell’autrice, un calvario che le lascia addosso i segni: a un certo punto, Orsola sembra cedere a quella vulnerabilità che sin da bambina aveva cercato di reprimere; abituata alla propria sicurezza di sé e alla propria capacità di resistere agli scossoni, si ritrova scardinata e senza più punti di riferimento, rimane sola, trascorre l’attesa a ripercorre il rapporto con il padre scomparso pochi anni prima, dai ricordi ripescati dall’infanzia fino al giorno del funerale. Ma Il Consolo diventa, anche e soprattutto, un forte atto di denuncia: quella di Orsola è la storia delle donne che ogni giorno, in Italia, si trovano a combattere contro un sistema sanitario che non conosce clemenza per chi si sottopone a un’interruzione di gravidanza, che non offre tutela, chiarezza, né supporto e che, al contrario, giudica, lascia in attesa, umilia.
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