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Conversazioni letterarie a cura di Adam Biles

«Una splendida combinazione di solitudine e comunità», così Lewis Buzbee definisce le librerie indipendenti, ed è una frase che mi è rimasta nel cuore

dall’Introduzione di Sylvia Whitman

Parigi ha tante arterie. Miriadi di percorsi che conducono a luoghi poetici, unici e irripetibili. Perdersi al suo interno è un’esperienza di abbandono molto particolare. Ma, per un lettore, spesso mai nulla succede per caso. Così, se all’ombra di Notre Dame lo sguardo si piega alla maestosità, poco distante, un’insegna si fa spazio e attrae, e richiama: Shakespeare and company. Non una libreria, ma una tappa d’obbligo, un luogo che dal 1951 – da quando il suo fondatore George Whitman l’ha aperta – resta un incanto in cui perdersi.

Ricordo bene l’emozione quando ci sono entrata. Avevo la magnificenza di Parigi attorno a me, eppure quella libreria era l’idea di un sogno, l’immaginazione che vaga e pensa a tutti gli autori e le autrici che proprio lì hanno presentato le loro storie e chiacchierato dei propri mondi: essere alla Shakespeare and company vuol dire avercela fatta, essere una voce.

Conversazioni letterarie (Neri Pozza) racconta proprio questa esperienza. Raccoglie le interviste degli ultimi decenni avvenute proprio alla Shakespeare and company e tenute dal direttore letterario, Adam Biles.

Conversazioni letterarie

Per qualsiasi avido lettore, è impensabile andare a Parigi senza programmare una visita a una delle librerie più iconiche al mondo: Shakespeare and Company. Rifugio della Beat Generation negli anni Cinquanta e rimane ancora oggi un punto di riferimento per autori e autrici da tutto il mondo

Abbiamo cercato di individuare i momenti speciali in cui la libreria, il rapporto fra autore e intervistatore e le aspettative del pubblico entrano in sintonia dando vita a una misteriosa alchimia. Serate in cui l’ospite, invece di rifugiarsi nell’aneddotica, sceglie il percorso più incerto, ma anche più eccitante, di un nuovo pensiero. […] Sono occasioni inebrianti, in cui l’intervista trascende i vincoli formali e diventa qualcosa di più: una conversazione densa di significato.

dalla Prefazione di Adam Biles

Forse la parola più giusta per queste interviste è incontro. Sì, perché la sensazione che si ha leggendo questi botta e risposta è quella di trascendere la semplice condivisione della parola o il fulcro di un libro, spesso sono più scambi a latere, intuizioni che si innescano e danno vita a uno scambio fatto d’intensità. Ciascuno segue una strada in salita, personalissima, in cui l’intervistato è al centro, ma mai con vacuità, sempre con un pianeta che orbita nel fuoco del proprio libro e della propria storia, tramuta l’esperienza di lettura in un’altra esperienza ancora, si fa dono d’ascolto.

Ad esempio, le interviste a Knausgård o a Ernaux hanno al centro le loro vite personali, come avviene d’altronde nei loro libri, eppure l’incontro segue rettilinee opposte, asseconda le curve di ciascuna voce e regala a chi legge – magari come a chi era presente – una visione in un dietro le quinte fatto di dolore quanto di forza, in dose massiccia e ben assestata, debole nella vita ma non nella scrittura. Sono due conversazioni che rimandano alla potenza del gesto dello scrivere, quello di raccontare come trasformazione della vita. La scrittura può far evolvere senza chiederlo, succede, e parte da una rievocazione continua e costante, anche se si manifesta – in questi due casi – in risultati letterari molto diversi.

Jenny Zhang e Meena Kandasmy, invece, possono essere accomunate dal raccontare due culture diverse da quelle del mondo occidentale, nel quale sono trapiantate. Quella con Zhang è un’intervista da montagne russe, con continui cambi di tono e scambi pieni di brio che guardano l’immigrazione sotto varie lenti. Mentre la seconda sviscera dolorosamente il retroscena di un matrimonio violento e l’aspetto interessantissimo della coercizione, declinata in tante vessazioni che si innescano nel quotidiano. Assimilabile per temi, ma con un’intensità differente e uno sguardo maggiore verso le vessazioni degli uomini nei confronti delle donne è quella con Miriam Toews che parte dalle violenze nelle comunità religiose che affronta in Donne che parlano.

Ma gli autori sono tantissimi, da Carlo Rovelli a George Saunders, dal Colson Whitehead a Madeline Miller, ed è come averli davanti e leggere dalle loro parole quello che ci ha fatto innamorare delle loro storie, ma soprattutto è meraviglioso avere in un unico libro alcune conversazioni così dense, che sembrano profumare di scaffali antichi, di carta e fatica. Questo libro è un’esperienza nel formato migliore possibile, in pagine dense che evocano anche un luogo, parlano della sua missione. Qualcosa che si avvicina alle possibilità che genera l’incontro, agli ingredienti particolari che ne permettono una riuscita perfetta – una certa sintonia, la storia giusta, il raccoglimento, l’esternazione, un pubblico attento, un intervistatore meticoloso, il suo sguardo. Qualsiasi cosa sia, però, sono certa che la Shakespeare and company metta di sicuro il suo.

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