È un libro che parla, come dice il titolo, di 50 modi per suicidarsi e 50 oggetti per uccidere qualcuno, che sembra una cosa super tetra e lo è, però è molto bello perché lo racconta anche facendo dell’ironia su questa cosa
Avete mai visto una persona saltellare in un ristorante e pensato: "chissà per quale motivo è così felice!"?
Se leggeste 50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti di Alessandra Carnaroli, probabilmente di fronte a una scena del genere ragionereste in modo diverso: quella persona non sarebbe più felice ai vostri occhi, ma avrebbe semplicemente un'oliva o un pezzo di cibo fermo in gola.
A consigliarci questa raccolta di poesie è Giulia Binando Melis, autrice di La bambina sputafuoco, che abbiamo conosciuto qualche tempo fa in un'intervista. La potete trovare qui.
50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti parla della feroce complessità delle relazioni nella nostra società contemporanea. Lo fa partendo da un momento chiave per tante anime: il momento finale e scurissimo, il suicidio. Tormentate dalla violenza sempre più presente ai nostri giorni, queste anime vogliono liberarsene, talvolta provocando la morte.
Questo libro di Alessandra Carnaroli mette in versi, con un immaginario macabro-quotidiano, cinquanta tentati suicidi di “desperate housewives”, o di una sola la cui immaginazione si faccia carico di tutte le donne, tra paste sfoglie, lavatrici, rubinetti pieni di calcare, supermercati… Nonché cinquanta descrizioni di oggetti di uso domestico trasformati in armi letali per altrettanti efferati omicidi: un cavatappi, una scarpa da donna col tacco alto, una tazza con la faccia di Mafalda, un barattolo dei pelati, un mazzo di chiavi «auto casa furgone cancello», il guinzaglio del cane, la busta frigo dell’Ikea…
Autoannientamento? Sì. Ma derivato da cosa? Certo, alcune volte da un abisso relazionale, altre volte invece indica qualcosa di più. I corpi che troviamo nelle poesie, quei corpi inerti, penzolanti dal verso, ripescano riflessioni sulla vita.
L'uomo filosofo intuisce che la vita è pura illusione, un po' alla maniera del Leopardi dei Pensieri. Ma, in realtà, scopre che è anche l'opposto: l'espressione di quella forza che ci spinge ad amare, ad avere cura di noi. E il processo suicidario, quei 50 suicidi del titolo, si innesca proprio in chi sa vedere oltre l'illusione. L'individuo si riconosce dentro il nulla, vede la propria misera condizione e tenta di uscirne. Non sa resisterle.
Ma non è solamente di suicidio che si parla. Nella seconda parte della raccolta, molti oggetti contundenti, nominati all'inizio di ogni poesia, si presentano come l'ennesimo campo di battaglia. Sono micro-racconti omicidiari, in cui è nascosta l'essenza fatale e nera degli oggetti, d'uso comune, portatori di memorie, ma inevitabilmente destinati a diventare strumenti d'uso letale.
La verità è che Alessandra Carnaroli riesce a mettere in scena annientamenti propri e altrui con una grande dose di ironia. Pensieri che tutti abbiamo, anche per pochi secondi, legati al niente della nostra società consumistica costruita da oggetti, oggetti che costellano decine e decine di pagine, che sono i costruttori, ma paradossalmente anche i distruttori delle nostre esistenze. Ma forse è proprio perché questi strumenti sono nelle vite di tutti noi, anche in quei pensieri fugaci di suicidio/omicidio, che l'unico modo per approcciarsi a loro è l'ironia: un percorso catartico nei versi di queste poesie.
Quindi, insomma, è tutto un abbracciarsi di risata catartica e di "Cavolo ci ho pensato anche io!". Perché alla fine sono pensieri che prima o poi, anche per dieci secondi, facciamo tutti e parlarne è un buon modo per farli uscire e, quindi, per stemperarli, guardarli in faccia
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