L'ora più buia di Biden

31 agosto 2021. Il giorno più devastante per un presidente americano.

L’ora più buia nel giovane mandato di Joe Biden che, almeno sulla carta, ha ancora più di tre anni davanti a sé. Ce la farà? 

Di certo, il suo nome resterà legato alla sconfitta; e molti avvoltoi stanno già volteggiando sulla sua testa canuta (sgradevole, peraltro, notare quanti nemici Biden abbia nei talk show italiani).

Di questo tenore tutti i commenti dell’apparizione televisiva di Joe Biden dopo il previsto (annunciato, addirittura, fin nei particolari) attentato dell’Isis all’aeroporto di Kabul, con i suoi 13 marines uccisi in mezzo ad una moltitudine indefinita di afghani, tra cui c’erano – simbolo del caos – talebani e fuggitivi, carnefici e vittime.

Biden si è commosso e ha pianto, cosa mai successa prima durante la diretta di un Presidente. Certe cose i presidenti non devono farle. I presidenti devono fare la faccia feroce, devono promettere vendetta, e rapida. Biden non l’ha fatto, ha detto solo, e in tono non stentoreo: “we will not forgive, we will not forget”, non perdoneremo, non dimenticheremo, che è diverso. E ha aggiunto: “porteremo a termine la più grande evacuazione che la storia ricordi” (e che già adesso ha portato via da Kabul centomila persone).

È vero, Biden è vecchio, e forse è anche senile. Ma Biden è onesto e ostinato: non tornerà indietro; il mondo si dovrà abituare al fatto che l’America del ventunesimo secolo, per fortuna, non sarà più bellicosa, arrogante, crudele e stupidamente tecnologica.

Davvero, Joe Biden passerà alla storia; come il presidente che ha avuto il coraggio di fare la cosa giusta, quella che nessun suo predecessore aveva fatto: finire una guerra, e prendersene la responsabilità.