Gli italiani gli devono il latte fresco e a lunga conservazione, firmato Parmalat di Collecchio. È uno degli industriali più stimati e riservati.
Calisto Tanzi opera nella ricca Parma accanto all'altra potenza industriale che viene dalla terra, la Barilla. Cattolico, solido, proprietario della squadra di calcio cittadina, Tanzi è l'esatto opposto di Sergio Cragnotti, il proprietario della Cirio («come natura crea, Cirio conserva»), proprietario della Lazio, che gli dà popolarità, ma gli succhia un sacco di soldi.
Cosa c'è di più pulito, di più puro del latte? Eppure, nel raccontare come la Granarolo è diventata l'impresa numero uno del settore lattiero-caseario italiano, Luciano Sita ci svela un mondo tutt'altro che immacolato. Intervistato da Luciano Nigro, l'uomo che ha guidato la Granarolo dal 1991 al 2009 apre l'album dei suoi ricordi e ricostruisce la storia a lieto fine di una cooperativa a un passo dal fallimento.
Cragnotti ha appena fatto crack. Ha chiesto capitali per 1,2 miliardi di euro, ha assicurato con i suoi bond rendimenti fino all'8%, non è stato in grado di restituire i soldi alle banche, queste li hanno scaricati sui risparmiatori e nel dicembre 2002, in 30mila hanno perso tutto.
Ma Tanzi è un'altra cosa, ha un'azienda di sicuro sviluppo: logico che offra bond con rendimenti del 6%, che le banche li propongano ai loro clienti, che le società di revisione garantiscano. Ma nel corso dell'anno qualche scricchiolio si avverte, perché Tanzi non riesce a pagare gli interessi promessi e ha bisogno di altri prestiti dalle banche.
La Parmalat però assicura: presenta un documento in cui vanta liquidità per 4 miliardi di euro depositati a New York presso la Bank of America. La banca viene interpellata il 19 dicembre e in poche righe comunica, semplicemente, che quei 4 miliardi non esistono.
Il documento presentato dagli uomini di Tanzi era stato assemblato in uno stanzino con fotocopie e uno scanner.
Il buco della Parmalat risulta essere di 14 miliardi di euro.
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