Martedì 17 gennaio 2023
Ho assistito ieri, come spero molti, alla conferenza stampa dei carabinieri e del procuratore di Palermo sull’evento mondiale, ovvero la cattura di Matteo Messina Denaro.
Mi è sembrata civile, diplomatica e decisamente sorniona.
Civile perché gli ufficiali e i magistrati hanno tenuto i toni bassi e hanno ricordato che a Messina Denaro non hanno nemmeno messo le manette.
Diplomatica perché hanno glissato sul fatto che l’arresto, nei suoi particolari, era stato addirittura annunciato in televisione due mesi fa, comprese le conseguenze politiche che avrebbe avuto, e che nessun giornalista abbia alluso alla straordinaria coincidenza.
Sorniona, per non dire peggio, quando si è discettato sulle condizioni di salute del novello detenuto.
E qui, però, si entra in un brutto terreno. I magistrati hanno assicurato che Messina Denaro è in buona salute e che può essere curato al 41 bis, il totem dei giustizialisti.
Hanno anche assicurato che senza intercettazioni il latitante non sarebbe stato preso.
E questa, come loro stessi sanno, è una balla.
Per quanto riguarda le condizioni di salute di Messina Denaro si è appreso – non dalla conferenza stampa, però - che è affetto da tumore al colon (operato due volte) e che gli sono state diagnosticate metastasi epatiche. Secondo Wikipedia un paziente in condizioni simili ha tra i 6 mesi e un anno di vita.
Ovviamente sarebbe del tutto incivile tenere un paziente in queste condizioni al 41 bis.
Si spera fortemente che questo non avverrà. Ci sono però precedenti: Provenzano, Riina, Vittorio Mangano…
Altri dettagli, purtroppo spiacevoli. Sembra di capire che non ci sarà un effetto a cascata dell’arresto – non si hanno notizie di perquisizioni, ritrovamento di documenti, eccetera - proprio com’era successo con l’arresto di Riina. Per quanto riguarda l’autista, Giovanni Luppino, è passato inosservato che era già noto ai CC da vent’anni, proprio come protettore del Nostro.
E che nessuno ha citato il suo più grande protettore, il senatore di Forza Italia, già sottosegretario agli Interni in due governi Berlusconi, Antonio D’Alì, che appena ieri ha varcato le porte del carcere come suo favoreggiatore. Ha dato una mano anche lui? Hanno dato una mano – come ormai sembra certo – i fratelli Graviano? Passeranno ora all’incasso? Sarebbe logico.
Così come parrebbe logico che Messina Denaro, malato terminale di cancro, abbia messo a posto, prima di entrare in carcere, i suoi affari.
Che sono cospicui, se si pensa che, finora, ai suoi affiliati, sono stati sequestrati o confiscati più di cinque miliardi di euro.
Ma forse mi sbaglio per difetto, perché ci sono catene di supermercati, i resti della Valtur, centinaia di attività commerciali, oltre a fette importanti dell’industria eolica e del sistema bancario. Praticamente, la provincia di Trapani era nelle mani di Matteo, che l’aveva ereditata dal padre, il campiere del barone D’Alì che, al culmine del suo potere ordinò l’uccisione del giornalista, e mio amico, Mauro Rostagno.
Se Matteo Messina denaro collaborerà, una domanda in proposito sarebbe opportuna.
Di
| Rizzoli, 2022Di
| Il Saggiatore, 2017Di
| Feltrinelli, 2022Di
| Rizzoli, 2022Di
| Ponte alle Grazie, 2021Di
| Sperling & Kupfer, 2022Potrebbero interessarti anche
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