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Carlito's way di Brian De Palma

Compie oggi trent’anni quello che molto probabilmente è il capolavoro definitivo di Brian De Palma, nonché una pietra miliare del cinema tout court: Carlito’s Way.

Carlito's Way
Carlito's Way Di Brian De Palma

Ad Harlem un malavitoso portoricano tenta invano di cambiare vita, la traiettoria di un destino che ha per traguardo una morte violenta.

Esso si avvale di un insieme di miracolose concomitanze: un regista al vertice della propria creatività e maturità (era 53enne), un protagonista nelle stesse identiche condizioni (Al Pacino), un co-protagonista in netta ascesa (Sean Penn), uno sceneggiatore che era tra i più richiesti a Hollywood (David Koepp, che nello stesso anno aveva vergato lo script di Jurassic Park), una cura dettagliata in ogni reparto (il fedelissimo Stephen H. Burum alla fotografia, cupa e sgargiante insieme, una colonna sonora molto varia che raddoppia l’immortalità di “Oye Como Va” di Carlos Santana, e il decano – già doppio premio Oscar – Richard Sylbert a guidare il terzetto di scenografi), per finire con una pletora di caratteristi di assoluto rilievo, da Penelope Ann Miller a Viggo Mortensen, da James Rebhorn a Paul Mazursky per conchiudere con gli odiosi ma perfetti John Leguizamo e Luis Guzmán.

Semplicemente, in quest’opera titanica, non esiste apparentemente difetto.

Il lungometraggio ha il proprio spunto di partenza in due opere tese – eppure non paragonabili allo splendore della resa cinematografica – del giudice Edwin Torres, intitolate rispettivamente Carlito’s Way e After Hours, e vede il proprio titolo derivare chiaramente dal primo, benché il secondo sia quello a cui più abbia attinto David Koepp. Questo per evitare fraintendimenti rispetto al film di Martin Scorsese (After Hours, appunto), uscito nel 1985.

Nel film un delinquente – che esce di prigione tramite un cavillo – cerca di chiudere dietro di sé il proprio passato criminale, ma più prova a farlo meno ci riesce. Quando sembra aver trovato una chiave di salvezza, il destino busserà alla porta, senza pietà.

Raramente una pellicola ha saputo descrivere il tentativo, sincero e per alcuni aspetti disperato, di un ex-carcerato di aprire una nuova finestra verso il proprio futuro. Col passare dei minuti De Palma dipana la descrizione del sottobosco corrotto del territorio a cui appartiene Carlito Brigante (“nomen omen” come pochi altri) e appare evidente che – per quanto l’uomo si impegni ad agire in maniera differente e a tagliare i ponti col passato vischioso e pericoloso al quale è appartenuto per molti anni – le chance di uscirne indenne saranno pochissime.

De Palma e Pacino delineano un criminale per il quale si finisce col parteggiare senza esitazioni, creando una sovrapposizione emotiva netta e conducendo a provare vera rabbia contro i nuovi cattivi, rappresentanti di un mondo dal quale Carlito cerca di fuggire. Così, proprio il suo voler dimostrare di essere un uomo diverso, tradendo i codici spietati della malavita, gli sarà fatale.

Un film che non dà tregua, che procede inesorabile e che si nutre di una tensione implacabile. Perfetto, semplicemente.

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