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L'esorcista: cinquant'anni di terrore

Mezzo secolo fa usciva nelle sale L’esorcista, il film che avrebbe confermato il talento dell’appena scomparso William Friedkin, all’epoca appena affermatosi col pluripremiato, asciutto e disincantato Il braccio violento della legge. La vicenda porta alla ribalta un tema fino a quel momento poco toccato dal cinema: la presenza di Satana sulla Terra. Esso si impadronisce di una bambina e due sacerdoti sono chiamati per scacciare il demonio da un corpo che dà in orribili escandescenze.

Giusto un lustro prima era arrivato nelle sale uno dei capolavori di Roman Polański, quel Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York che, oltre ad avere un contorno inquietante (si parlava infatti della venuta del diavolo, incarnatosi nel grembo di una giovane mamma newyorchese, Mia Farrow, a valle della gentile “consulenza” del fondatore della Chiesa di Satana, Anton LaVey), si era pericolosamente attorniato di eventi realmente orrendi: dall’uccisione – di lì a poco – proprio della moglie incinta del regista per mano di Charles Manson e della sua Family (vedasi lo strepitoso C’era una volta a… Hollywood per averne una geniale lettura alternativa in salsa tarantiniana) all’omicidio di John Lennon proprio sulle scale del Dakota Building, l’edificio nel quale è ambientata l’intera vicenda girata dal polacco. Da brividi.

L' esorcista
L' esorcista Di William Peter Blatty;

Che cosa succede alla piccola Regan, trasformatasi in un mostro blasfemo che urla oscenità e frasi sconnesse? Sua madre, la famosa diva del cinema Chris MacNeil, non riesce a capirlo. Né ci riescono i medici e gli psichiatri né la polizia. Forse solo un esorcista può dare una risposta.

In questo clima, quindi, Friedkin trae dal romanzo di William Peter Blatty (che poi girerà anche il non memorabile L’esorcista III, chiamato così per dare seguito a L’esorcista II – L’eretico di John Boorman) un horror che ha i propri punti di forza in quattro aspetti: da un lato la consueta regia virtuosistica di Friedkin che – pur inchiodato dentro una casa – sa dare ritmo e puntare dritto allo stomaco, quindi gli effetti speciali, davvero strabilianti per l’epoca e non superati quantomeno fino allo stupefacente capolavoro di John Carpenter La cosa, poi la colonna sonora che mescola l’epocale Tubular Bells di Mike Oldfield a Jack Nitzsche e soprattutto all’inquieto polacco Krzysztof Penderecki (non a caso futuro perno sonoro del soundtrack di Shining di Stanley Kubrick), infine la recitazione dolente e disperata del bergmaniano Max Von Sydow, che torna a incrociare l’aldilà dopo la prova storica de Il settimo sigillo. Accanto all’attore svedese sfilano una coinvolgente Ellen Burstyn, Jason Miller (invero opaco e trascurabile) e Lee J. Cobb.

La fotografia del mago Owen Roizman immerge in un’atmosfera livida eppure colorata, una specie de La fabbrica di cioccolato al contrario, l’apparizione del demone assiro Pazuzu rimane piantata nelle membra e al termine della visione permane un senso di malessere che va ben oltre le scene terrificanti che hanno per protagonista la posseduta (Regan, interpretata da Linda Blair che mai si libererà da quel ruolo). Si consiglia la versione restaurata, che aggiunge almeno due scene decisamente impressionanti e tagliate nel 1973.

Curiosità: l’attore Paul Bateson, che interpreta il radiologo, nel 1979 sarebbe finito in galera in qualità di serial killer di omosessuali. A lui si ispirò proprio Friedkin, per il magnifico Cruising, 1980.

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