Non basta l’etichetta di “figlio di madre italiana e papà egiziano” per conoscere Omar Hassan. Certo, Omar è figlio di due culture, è un italiano nuovo. Ma perché adesso tutti parlano di lui? Certo, Omar è “quello che fa i quadri con i pugni, con i guantoni da boxeur” … ma anche questo non basta. Perché con il suo libro Omar Hassan vuole raccontare la sua storia, la sua fame di vita e le sue esperienze, che sono tante, diverse e apparentemente antitetiche. Ma Omar Hassan non è “strano” perché ha solo trent’anni e nel suo percorso di vita ha già collezionato tante esperienze, è “strano” – nel senso di eccezionalità che l’aggettivo può comportare - per la sua voglia di condividere, di abbracciare il mondo attraverso le sue parole e i suoi colori. E con questo, sì, la tolleranza che nasce dall’incontro di due culture ha qualcosa a che fare. Mondo Marcio, che per lui ha scritto una speciale introduzione in musica, è fra quelli che possono aiutarci a capire meglio.
Omar è nato a Milano, non la Milano dei nuovi grattacieli ma neanche la Milano della periferia e della desolazione. Omar ha uno straordinario talento, la boxe, ma il suo fisico lo mette ko. E allora arriva l’Accademia di Belle Arti di Brera e da lì un nuovo percorso, fatto di colore e di scrittura, perché lui è un pugile e dalla boxe ha imparato che dopo un pugno bisogna sempre rialzarsi. È dopo, solo dopo, che arrivano i suoi famosi quadri “fatti con i pugni” ed è arrivato il successo. Si è parlato di street art, addirittura action painting.
Per le strade è la sua personale biografia, fatta di immagini e parole, un libro da leggere e da sfogliare, per strappare una pagina magari, per appendere uno dei suoi disegni, così pieni di colori e di vita.
Intanto abbiamo fatto una chiacchierata con lui.
Figlio della periferia multietnica dell'hinterland milanese, padre egiziano e madre milanese. Si è alzato dalle panchine di Lambrate e ha combattuto per trasformare i suoi sogni in realtà. E ci è riuscito.
Il minimo che si possa dire di te, Omar, è che sei una persona dal talento versatile. Dovessi raccontarti a chi non ti conosce, come ti definiresti?
Bella domanda! Sicuramente sono una persona che ha bisogno di esprimersi attraverso varie forme d'arte, la pittura, la scultura … e adesso anche la scrittura. Ecco: sono una persona alla quale piace scoprire, conoscere, condividere. Nasco da due culture, quindi sono un “doppio” che cerca di trovare qualcosa da unire, così come ho unito arte e pugilato, arte e musica e adesso sto cercando di unire arte e scrittura.
Hai scoperto che potevi esprimerti mettendo del colore su tela coi guantoni dopo essere salito sul ring?
È stata una presa di coscienza, rendermi conto che non avrei potuto fare altro. Ho frequentato l'Accademia di Belle Arti e il mio lavoro “coi pugni” viene dopo una mia ricerca precedente, anche se con questo lavoro sono riuscito a fare più “rumore”. Ho cercato di portare nell’arte quella che per me è la vera “metafora di vita” del pugilato, perché siamo tutti pugili. Perché se si va al tappeto, bisogna rialzarsi.
Per le strade somiglia per certi versi a un diario, per altri a un erbario. Si ha l'impressione che se avessi potuto mettere del colore con le tue stesse mani, copia per copia, l'avresti fatto...
Questo libro, che in realtà sono undici racconti, parla di esperienze di vita, di episodi vissuti da me in prima persona. Per me è stato un modo di mettere ordine. Ho sempre scritto tantissimo, ero pieno di appunti, racconti e bozzetti e quest'anno di pandemia, chiuso nel mio studio, mi ha portato a desiderare di riorganizzare tutto e farne un vero e proprio libro.
La tua "educazione di strada" ha inciso sulla tua sensibilità di artista?
Sicuramente sì, ha inciso. Anche nel titolo: "Per le strade" si riferisce a quello che accade "per le strade," quelle vissute, ma è anche la mia dedica a quel mondo. Lì ci sono tanti sogni, tanti talenti, ma molti non hanno voglia o non hanno la spinta per alzarsi. Ho dedicato questo libro ai miei genitori, perché è grazie a loro se sono riuscito a tenere un "distacco" dalla strada. Ho cercato di essere uno di quelli che da quelle panchine piene di sogni si alzano per andare a far qualcosa.
A proposito dei tuoi genitori: tu sei nato da mamma italiana e papà egiziano, quindi sei a cavallo fra due culture. Cosa ti ha dato ciascuna delle tue due radici?
L'amore dei miei genitori è la testimonianza che nel mondo, se ci sono intelligenza, rispetto e tolleranza, si può tranquillamente vivere insieme. Io incarno questa tolleranza. I miei genitori si sono innamorati, stanno insieme, uno musulmano e l'altra cattolica, ma una volta che ognuno ha espresso la propria idea si torna a mangiare insieme, cioè si rispetta il pensiero dell’uno e dell’altro. Basta guardare come sta andando il mondo per capire che sono fortunato. Forse non avrei potuto fare altro che l'artista proprio per questo motivo, per la mia voglia di essere una spugna, di assorbire ogni tipo di cultura, ogni tipo di cosa nuova.
Omar, hai voglia di scegliere un racconto fra quelli che danno vita al tuo libro e restituircelo attraverso la tua voce?
Non posso non citare il mio maestro Ottavio Tazzi che, nel mondo del pugilato, è stato il maestro dei maestri, allenatore di otto campioni del mondo, Giacobbe Fragomeni, Rocky Mattioli, Gibilisco… tutti sono passati da "nonno Tazzi". Per me è stato una figura fondamentale. Un maestro, non solo di boxe, ma di vita. Nel libro ho deciso di raccontare un particolare molto intimo della nostra storia. Ottavio era una persona eccezionale, che ai ragazzi dava la sua vita, sacrificando anche un po’ la famiglia. Ecco, quando vado a parlare nelle scuole o nelle comunità e vedo che i ragazzi si perdono, penso che figure come la sua cominciano a mancare.
Un altro maestro citato nel libro è Alberto Garutti, col quale hai studiato all'Accademia di Brera. Da lui cos’hai imparato?
Alberto Garutti è innanzitutto un grandissimo artista contemporaneo, anzi, uno tra i migliori della scena contemporanea internazionale. E lui era veramente sincero con noi ragazzi. Era sincero nel dire che cosa dovevamo fare se davvero avessimo voluto occuparci d'arte. Per esempio, ci diceva sempre: “Siete l'unica generazione che può viaggiare con trenta euro”. E con questo voleva suggerirci di andare nel mondo, di nutrirci di esperienze, di culture diverse, delle cose intorno a noi, perché solo uscendo, guardando, cercando di capire, puoi sviluppare qualcosa di realmente tuo.
Il tuo libro è una fotografia in movimento dei tuoi primi trenta (e poco più) anni. Cosa ti piacerebbe succedesse, ora?
Per quanto riguarda i miei quadri e la pittura guardo avanti: ho già delle mostre da fare! Per il resto, procedo "day by day". E poi, dopo questo libro, vediamo che cosa succederà … Nel libro c’è un’introduzione di Marco D'Amore, che è un carissimo amico e – chissà? - magari qualche racconto potrebbe ispirare una miniserie. Sarebbe bello! Io ho avuto la fortuna di entrare nel mondo dell'arte molto giovane, nutrendomi delle esperienze degli altri, ed è anche per questo che ho scritto questo libro. Mi sono detto, io ho fatto undici esperienze importanti e le voglio raccontare. Poi, se a qualcuno arriveranno, sarà il massimo!
Allora, visto che l'hai citato D’Amore, ti chiedo di leggere la sua frase riportata sulla quarta di copertina del libro.
Eccola: "Io peccatore, io infedele, io studente, io maestro, io solo e perduto tra le braccia dell'amore, io arabo e italiano, io con i colori immersi nella mano."
E chiusura migliore, per questo libro e per questa intervista, davvero sarebbe difficile immaginare. Grazie, Omar! Ci vediamo, a colori, al prossimo gancio sinistro.
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