Nel giugno del 1944, mentre gli alleati sbarcano in Normandia, Adolf Hitler è al sicuro nel suo rifugio incastonato tra le Alpi Bavaresi: "Il nido". Intorno a lui una corte allucinata che cerca disperatamente di ignorare che la fine del Terzo Reich è vicina. Un ritratto inedito, visionario eppure estremamente documentato, del personaggio più detestato e detestabile del Novecento.
I fumetti di Marco Galli sono roba da grandi.
Se vi ostinate a credere che il fumetto sia un medium destinato a intrattenere senza porre domande, a divertire senza mai mettere in discussione convinzioni e pregiudizi, allora forse fareste meglio a non prendere in considerazione la lettura di un libro come "Il nido".
Perché quella che il bravissimo autore (che avevamo incontrato pochi mesi fa per parlare del suo precedente "Dentro una scatola di latta") ha scelto di raccontare in questo (splendido) volume pubblicato da Coconino/ Fandango è una storia che non concede nulla al modo in cui ci aspetteremmo di sentir raccontare gli ultimi giorni di un dittatore. trovando una via assolutamente personale alla narrazione e fissando una soglia di comunicazione con il lettore che è il vero punto di forza di un'opera straordinaria.
La storia è riassumibile più o meno così: il "nido" nel quale si sono rifugiati il fuhrer e la sua corte per isolarsi dalla guerra è un castello fra le alpi, solido spartiacque fra un "dentro" e un "fuori". Ma nell'allucinazione perversa e lunatica del dittatore che si rifiuta di prendere coscienza di quanto la guerra sia ormai perduta, "dentro" e "fuori" finiscono per assumere confini ingannevoli. Così, la caccia magica che si consuma nei boschi che circondano il castello, sembra evocare simbolicamente altre frontiere, soprattutto quella fra quel che crediamo di essere e ciò che invece - in circostanze estreme - siamo disposti a diventare.
Dal punto di vista della cultura e della tecnica fumettistica, questo graphic novel è un vero exploit: a partire dal taglio delle inquadrature e dall'uso sapiente di un colore che non è più allegorico che decorativo, e grazie a un disegno che fa propri alcuni stilemi della lezione dei grandi (Attilio Micheluzzi su tutti, ma a tratti sembra di leggere anche qualcosa di Alex Toth), riuscendo però assolutamente personale nell'alternanza fra "esitazione" del tratto e nitore descrittivo. Insomma, è tutta farina del sacco di Marco. Così com'è farina del suo sacco il montaggio delle tavole, magistralmente capace di dilatare e contrarre lo scorrere del tempo attraverso un controllo che - scopriremo nel corso dell'intervista - è stato l'autore stesso ad imporsi ricorrendo a uno stratagemma.
Insomma, "Il nido" è un tour de force che, approcciando in modo originale e risolutamente anti-ideologico una figura indagatissima da storici e romanzieri, sceglie di restituircene una immagine che risulta nuova e ancor più inquietante di quanto eravamo abituati a pensare: perché nel delirio del fuhrer non c'è traccia di alcuna disumanità che non sia in fondo insita nell'uomo in quanto tale. E questo solleva la domanda più difficile, più scomoda, più micidiale.
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