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Sami in fuga dalla guerra di A. M. Dassu

Ciao a tutti, mi chiamo Sami Al-Hafez, ho 13 anni, vivo a Damasco in una villa con i miei genitori e Sara, la mia sorellina di 5 anni. Tarek, il mio baba è un medico chirurgo, Zeina, la mia mama è preside in una scuola.

La mia vita, malgrado la guerra civile, scorre come qualsiasi ragazzino desidererebbe: colleziono scarpe da ginnastica e ho due vere passioni, una per i videogiochi e l’altra per il calcio che condivido con Joseph, il mio migliore amico.

Sami in fuga dalla guerra
Sami in fuga dalla guerra Di A. M. Dassu;

Sami è il figlio tredicenne di un importante chirurgo e di una preside. Ha una sorella minore che adora, un migliore amico, una passione per i videogiochi, le sneakers e l'ambizione di entrare a far parte della squadra di calcio della scuola. Nonostante la guerra civile scuota la Siria da molti anni, la sua vita a Damasco scorre come ogni ragazzo adorerebbe, fino al giorno in cui la madre e la sorella si trovano in un centro commerciale che viene bombardato.

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Oggi è un giorno importante: finalmente nel pomeriggio ci saranno le selezioni per la squadra di calcio della scuola; è stato tutto organizzato: finite le lezioni il mio autista mi porterà le nuove scarpe che mama e Sara sono andate a ritirare al centro commerciale e con Joseph andremo direttamente al campo.

Questo era il progetto della giornata, ma all’improvviso, per sicurezza, la scuola viene evacuata perché è stata bombardata la capitale, “sicuramente in periferia… non hanno mai bombardato il centro”, ma accendendo il televisore leggo una notizia sconcertante: “Damasco: attacco terroristico dei ribelli al centro commerciale Cham”.

Sono rimasto a fissare l’immagine dello schermo… guardavo ma non riuscivo a muovermi… ho tentato di dire qualcosa, ma non mi è uscito nulla

È il centro commerciale dove mama e Sara sono andate per me. Che immenso dolore ho provato devo sapere se sono ancora vive… voglio parlare con baba. Così il padre di Joseph, lo zio Tony, come lo chiamo, mi ha accompagnato all’ospedale dopo una telefonata che mi rassicurava che mama e Sara erano vive.

Da quel momento la vita mia e della mia famiglia è cambiata: Sara non parla più per lo shock, mama si è licenziata da scuola, il nostro autista e la signora che aiutava a casa sono stati mandati via e a me è stato chiesto di aiutare a mettere negli scatoloni giocattoli, libri e tutto ciò che fosse in camera mia e in quella di Sara. Ci saremmo trasferiti in un posto dove mia sorella può essere aiutata. Ho pensato che magari mi sarei dovuto alzare prima la mattina per andare a scuola perché più lontana, ma in realtà un giorno sono stato svegliato presto perché avremmo lasciato non la nostra casa, ma il nostro paese per andare in Inghilterra; avrei dovuto fare il bravo e ubbidire senza domandare nulla a baba e mama.

 

Volevo chiamare Joseph per salutarlo, mi sentivo solo, le lacrime non si fermavano e il mio stomaco era in subbuglio. Non sapevo esattamente cosa sarebbe successo, ma sapevo che mi spaventava più di qualsiasi altra cosa

Eravamo in macchina e avremmo dovuto raggiungere Beirut, in Libano. Mentre viaggiavamo mi stavo rendendo conto che “la guerra era arrivata anche da noi. Ho guardato ogni cosa con occhi nuovi: le macerie, le bombe, le sirene, e il rumore che per anni avevo visto e sentito al telegiornale ora stavano diventando una realtà anche qui”.

All’aeroporto di Beirut baba ha venduto la macchina e dopo due ore ci siamo ritrovati a Istanbul, in Turchia dove ero convinto di prendere un altro aereo fino in Inghilterra, ma le mie aspettative sono state deluse. Mi sono ritrovato con la mia famiglia, chiuso a chiave in una stanza, senza finestre, piena di gente, tutti in attesa di imbarcarsi, con la stessa paura addosso di essere scoperti dalla polizia ed essere rimandati in Siria.

Dopo qualche giorno, ci siamo imbarcati; mi sono seduto a terra in uno spazio strettissimo e sono stato assalito dal panico: gli spruzzi avevano formato una pozza d’acqua di mare dentro la barca, il mio stomaco si rivoltava, i miei jeans erano fradici. E poi, finalmente terra: eravamo arrivati in Grecia. Mi mancava casa, pensavo spesso a tutto quello che avevo perso, mi venivano in mente Joseph, i miei amici, la scuola e, con questi pensieri, insieme a baba, mama, Sara e tante altre persone, sono stato caricato su un camion e chiuso in un doppiofondo senza poter neanche allungare le gambe. Dopo circa due giorni di viaggio nel camion siamo stati lasciati in un luogo dove ci aspettava un vecchio amico di baba che era riuscito a procurarci documenti falsi.

All’aeroporto ho avuto paura, il check-in, i cancelli per l’imbarco, il controllo dei documenti al gate, e se ci avessero scoperto? Tremavo come non mi era mai successo, guardavo baba e cercavo di imitarlo, mantenevo la calma e camminavo con lo sguardo fisso per terra per il timore che una qualsiasi mia espressione ci avrebbe potuto tradire.

Stiamo per atterrare, finalmente potrò riposarmi, dormire in una casa, tornare a una vita normale, le mie ansie e le mie paure sono finite; mia sorella Sara tornerà frizzante e gioiosa come prima, baba riprenderà a lavorare in un ospedale e mama a scuola, questo speravo. In realtà, la prima frase che baba ha detto appena sceso dall’aereo è stata «Veniamo dalla Siria. Siamo venuti a chiedere asilo». Le vie di Manchester dovranno aspettare ancora qualche settimana prima che io possa essere libero di visitarle.

Quante angherie con baba e mama abbiamo ancora sopportato, quanta cattiveria è stata riversata su di noi senza motivo, prima che la nostra domanda di asilo fosse accettata. Qui in Inghilterra nessuno mi sorride, anche a scuola tutti mi scansano, mi guardano come se fossi un terrorista, ma non lo sanno che noi in Siria avevamo una vita normale? Che non ce ne saremmo mai voluti andare dal nostro paese, che è difficile lasciare tutto e ricominciare da capo? Che mia mama si è ridotta a fare le pulizie presso qualche signora? Noi, che avevamo servitù, autista, eravamo ricchi… perché è tutto così complicato?

Sami in fuga dalla guerra, scritto da A.M. Dassu, edito dalla casa editrice Mondadori, non è il primo libro per ragazzi che parla di guerra, di quanto sia orribile, delle conseguenze devastanti che lascia, ma è un libro che va letto perché le situazioni narrate sono ispirate da interviste, perché la storia è coinvolgente, ben scritta, perché la paura, la tristezza, l’angoscia che Sami vive nel suo viaggio sono alcune volte riscattate dall’accoglienza e dalla possibilità di una nuova vita, perché “In un mondo in cui ci viene detto di vedere i rifugiati come “l’altro”, spero che siate d’accordo sul fatto che “loro” sono anche “noi”.

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