Il primo modo per ascoltare musica classica consiste nell’aprire il player, scegliere un album, una playlist o magari un canale radio che ne trasmetta in continuazione e poi lasciarla lì, perché scorra in sottofondo, senza disturbare troppo, giusto per decorare un po’ il silenzio. Non c’è niente di male: è come quando in una stanza accendete una piccola lampada in un angolo vuoto, magari una di quelle fioche, da comodino, che non serve per illuminare o per leggere ma spezza l’oscurità, scalda l’ambiente, lo rende più bello. Perché quello della musica di sottofondo, non ci sono dubbi, è un ascolto che ha a che fare con la bellezza pura, immediata, una bellezza talmente evidente che non ci si pensa: c’è, è lì, la si lascia arrivare alle orecchie.
Il secondo modo richiede un po’ di impegno in più: si entra in una sala da concerto, oppure si apre di nuovo il player, ma poi si aguzzano le orecchie, si lucidano i sensi, e ci si mette davvero all’ascolto. E allora accade che la musica vi prenda per mano, vi trascini nelle sue storie, vi conduca lungo sentieri che spesso sembrano quasi discorsi, discorsi ben articolati, con un inizio, uno svolgimento e una fine, e anche se non capite che lingua venga parlata – quale sarà mai la lingua della musica? – avete l’impressione fortissima di aver vissuto qualcosa di preciso, di definito. Quasi come quando guardate la puntata di una serie.
Poi c’è il terzo modo, che non scegliamo noi ma è un percorso obbligato, inevitabile: è l’ascolto di musica che supera i limiti, quello di brani che non potrebbero mai essere ascoltati distrattamente, tanto sono intensi, ma non accettano neppure l’ascolto attento di chi vuole seguire il discorso, le domande e le risposte, quello che c’è prima e quello che viene dopo. Sono brani nei quali i compositori hanno voluto esagerare, far saltare tutte le regole, metterci di fronte a forme di bellezza cruda, persino aspra e proprio per questo dannatamente seducente; non sono molti, ma esistono.
La Seconda sonata per violoncello e pianoforte di Brahms è uno di quelli. È meravigliosa, davvero meravigliosa; ma – sappiatelo – vi spiazza sin dalle prime battute. Perché comincia, è chiaro, ma avete l’impressione di aver saltato qualcosa. Come se quelle note fossero la risposta a una domanda che non avete sentito, il seguito di una storia già cominciata altrove. Così venite colti dalla sorpresa, dalla curiosità, ma anche dallo smarrimento e persino da una dolcissima angoscia: il brano è appena cominciato e i due strumenti sono già avvinghiati nella lotta, in una battaglia di frasi che sembrano graffi, morsi, e voi non capite come siano arrivati fino lì, che cosa è avvenuto prima, dove sia andata a finire la puntata precedente.
Il prodigio è che, anche negli altri tre movimenti, Brahms non molla l’osso per un istante. La musica è una cavalcata continua, che vi punzecchia, vi trascina sino a farvi perdere il fiato, vi fa battere il cuore all’impazzata, dandovi istante dopo istante l’impressione che ci sia qualcosa di segreto, di nascosto, di non detto, qualcosa che vi costringe a rimanere in tensione per cercare di afferrarlo. Tanto che alla fine siete persino un po’ stanchi, dopo tutte quelle emozioni, e vi dite che un’avventura così proprio non l’avreste immaginata, quando vi eravate messi in testa di ascoltare soltanto un po’ di musica. Però, fidatevi: è una di quelle stanchezze belle, dense, spesse, che danno un gran piacere. Non ve la fate sfuggire.
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