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Concerto per pianoforte e orchestra n. 4 di Beethoven raccontato ai bambini

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023

Non è che fosse sempre arrabbiato, Beethoven. Per carità, aveva un caratterino tutto suo, e infatti traslocava in continuazione, con il pianoforte eccetera, perché litigava con i vicini, insultava i padroni di casa o semplicemente trovava nell’appartamento qualcosa che non gli piaceva – a Vienna, per capirci, cambiò casa più di trenta volte.

Ma non era sempre arrabbiato, questo no.

E allora perché quando si pensa a Beethoven ci viene in mente un compositore scontroso, intrattabile, oltre che decisamente spettinato? Beh, un po’ perché un pittore gli fece un ritratto mentre il poveretto aveva dei terribili dolori alla pancia, che lo spingevano addirittura ad alzare il pugno verso il cielo per la sofferenza, e quel quadro diventò poi famosissimo; e un po’ perché la sua musica, che spesso è costruita su ritmi incalzanti e temi duri, forti, qualche volta persino aggressivi, in genere ci dà l’idea di un uomo in lotta perenne contro il mondo.

C’è però un brano che permette di scoprire un altro Beethoven, del tutto diverso da quello che di solito ci immaginiamo. Un Beethoven gentile, mite, addirittura indifeso. Un Beethoven che sembra aver scritto quel pezzo per far sapere che anche lui, ogni tanto, aveva bisogno di coccole.  È il suo Concerto per pianoforte e orchestra n. 4, una partitura lunga e importante nella quale, come dice il titolo, ci sono un solista, che suona il pianoforte, e un’orchestra, che un po’ si alterna e un po’ si sovrappone a lui.

Ora, poiché si trova di fronte a una cinquantina di persone che gli suonano intorno, in un concerto per pianoforte e orchestra il solista in genere deve farsi valere, essere tosto, mostrare i muscoli; e infatti nei primi Concerti di Beethoven succede proprio così, con scontri, tuoni e fulmini musicali che si scatenano tra pianista e orchestra. È normale che accada, ed è anche bello, spettacolare, perché in fondo per il pubblico è come assistere a una sfida sportiva, magari addirittura a una battaglia.

Qui invece, nel Quarto concerto, il solista si trova a suonare frasi tenere, dolci, che sembrano una confessione sussurrata e non certo un grido prima di lanciare un attacco. Non c’è il senso della sfida. Non ci si prende a cornate.

Ascoltate ad esempio il modo in cui finisce la cadenza del primo movimento, cioè il momento nel quale l’orchestra sta zitta per lasciare posto al pianoforte: è tutto un fiorire di trilli, cioè di tremolare tra note, con leggerezza, come se si volesse dare un suono a una manciata di foglie scosse da un vento leggero. Oppure ascoltate il secondo movimento, l’Andante con moto, dove l’orchestra suona un tema potente, imperioso, e il pianoforte sembra non farci caso e anzi dà l’impressione di girarsi dall’altra parte, chiudendosi in un’atmosfera intima, raccolta, affettuosa, fino a che l’orchestra si lascia convincere, rinuncia al proprio piglio eroico e per così dire si accovaccia vicino al pianoforte, continuando a suonare il proprio tema ma togliendogli di dosso qualunque traccia di aggressività.

Se ci fate caso, se lasciate che la musica vi arrivi al cuore, al cervello, vi accorgerete che davanti a voi avete un Beethoven pacioccone, incapace di far male a una mosca, che vi chiede di abbracciarlo, almeno nei vostri pensieri. E voi magari fatelo, tenetelo stretto per un pochino, insieme alla sua musica: vi assicuro che sarà un’esperienza emozionante.

Immagine tratta dal libro "Il mio piccolo Beethoven. Libro sonoro di Emilie Collet, Gallucci, 2016"

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