I am inhabited by a cry.
Nightly it flaps out
Looking, with its hooks, for something to love.
I am terrified by this dark thing
That sleeps in me;
All day I feel its soft, feathery turnings, its malignity.
Sylvia Plath è stata una straordinaria poetessa e scrittrice statunitense, che attraverso la sua arte ha saputo rappresentare la sensazione di alienazione e non-appartenenza alla sua stessa esistenza.
Oggi, 27 ottobre 2022, avrebbe compiuto 90 anni. Invece, morì suicida poco più che trentenne nel gelido inverno londinese del 1963, separata dal marito fedifrago, lasciando due figli ai quali preparò la colazione per la mattina seguente, prima di scegliere di infilare la testa nel forno e attendere la morte per asfissia. Alcuni indizi fanno sospettare che non volesse davvero uccidersi, e che quel gesto fosse solo un disperato tentativo di chiedere aiuto, purtroppo finito in tragedia. Non sapremo mai con certezza quali fossero le sue reali intenzioni, quali pensieri la tormentassero durante quella notte; ma sappiamo che la giovane poetessa soffriva da tempo di disturbi psichiatrici e aveva già tentato il suicidio, e la depressione spesso conduce verso abissi talmente profondi da cui, ad un certo punto, non è più possibile emergere.
Quegli abissi Sylvia li conosceva bene: nel corso degli anni li aveva indagati attraverso la scrittura, profonda e diretta, che fu per lei un appiglio nella fatica dell'esistenza e il miraggio di una catarsi mai del tutto realizzata.
I desire the things which will destroy me in the end
Dopo la sua tragica morte, la scrittrice divenne un simbolo della ribellione femminile contro una società ancora fortemente patriarcale, che non lasciava spazio di espressione alle donne, ancora troppo spesso relegate nei ruoli canonici di moglie e madre. Una società che, anche a quelle che sceglievano una vita professionale, non permetteva un reale appagamento e il riconoscimento del loro valore.
Quel suo anelito di libertà, la lotta interiore di fronte alla necessità di ridimensionare sé stessa e le proprie aspirazioni per rientrare nella concezione femminile dell’epoca, l’avevano logorata nel profondo. Si sentì sempre in un precario equilibrio tra la volontà di affermarsi come scrittrice e mordere la vita in tutti i suoi aspetti e la necessità di conformarsi al modello che la società degli anni Sessanta imponeva alle donne.
Quello vissuto dalla Plath era un mondo soffocante e senza vie d’uscita, lo stesso che troviamo descritto in alcuni romanzi dell’epoca come, ad esempio, l'intenso Revolutionary Road scritto da Richard Yates nel 1961.
Nel suo unico romanzo, La campana di vetro, pubblicato appena un mese prima della sua morte, inserì un’immagine che descrive molto bene questo tormento:
“Vidi la mia vita diramarsi davanti a me come il verde albero di fico del racconto. Dalla punta di ciascun ramo occhieggiava e ammiccava, come un bel fico maturo, un futuro meraviglioso. Un fico rappresentava un marito e dei figli e una vita domestica felice, un altro fico rappresentava la famosa poetessa, un altro la brillante accademica, un altro ancora era Esther Greenwood, direttrice di una prestigiosa rivista […]. E vidi me stessa seduta alla biforcazione dell’albero, che morivo di fame per non saper decidere quale fico cogliere. Li desideravo tutti allo stesso modo, ma sceglierne uno significava rinunciare per sempre a tutti gli altri, e mentre me ne stavo lì, incapace di decidere, i fichi incominciarono ad avvizzire e annerire, finché uno dopo l’altro si spiaccicarono a terra ai miei piedi”
Per Sylvia Plath, diversamente dagli uomini che potevano cogliere tutti i fichi che più gradivano, la donna veniva riconosciuta solo in un unico ruolo, e quelle come lei che volevano cogliere più di un'opportunità, erano costrette a vedere tutti i fichi marcire, pervase da un senso di impotenza.
Proprio alla luce di queste riflessioni, la Plath venne presa ad esempio per studiare il contesto sociale e culturale in cui aveva vissuto. Venne addirittura coniato il termine “the bell jar syndrome” dal titolo in originale del suo romanzo (The Bell Jar) per spiegare una serie di suicidi tra le ragazze che frequentavano il college. Esther Greenwood, alter ego dell’autrice e protagonista della storia, incarnava, appunto, l’impossibilità di trovare un compromesso soddisfacente tra il ruolo imposto dalla società, cui si doveva aderire per essere accettate e potervisi inserire, e i propri sogni e ambizioni più profondi.
Risulta sempre attualissimo leggere questo bellissimo romanzo semiautobiografico, le sue Poesie e i suoi Diari. Oltre ad aver ricevuto il Premio Pulitzer per la Poesia nel 1982, prestigioso riconoscimento postumo per il suo valore letterario, a quasi sessant'anni dalla sua morte Sylvia Plath resta un indubbio simbolo di ribellione femminile. La ritroviamo come una presenza costante nell'immaginario dell'odierna cultura pop, in cui spesso molti personaggi femminili la leggono o la citano come portavoce di un messaggio di contestazione ante litteram delle rivendicazioni femministe.
Dying
Is an art, like everything else.
I do it exceptionally well.
I do it so it feels like hell.
I do it so it feels real.
I guess you could say I've a call.
Di
| Mondadori, 2016Di
| Adelphi, 2004Di
| Mondadori, 2019Di
| Guanda, 2015Di
| Mondadori, 2022Di
| Faber & Faber, 2019Di
| Faber & Faber, 2014Di
| Faber & Faber, 2008Di
| Faber & Faber, 2019Di
| Faber & Faber, 2019Di
| Faber & Faber, 2013Gli altri approfondimenti
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