Per favore, un po' meno d’amore e un po' più di dignità.
Kurt Vonnegut Jr. si trovava a Dresda fra il 13 e il 15 febbraio 1945 quando, giovane caporale dell’esercito americano in Europa, trovò nel mattatoio dov’era tenuto prigioniero un inaspettato riparo dal terribile bombardamento che stava riducendo in cenere una città fino ad allora conosciuta come “la Venezia sull’Elba”.
La storia è nota. Vonnegut stesso l’ha raccontata a più riprese nel corso di una carriera di narratore alquanto accidentata, facendone il fulcro del suo libro forse più noto: Mattatoio numero 5.
Per Vonnegut, l’unico modo sensato di rendere giustizia ai ragazzi che furono meno fortunati di lui e morirono giovanissimi in guerra, era quello di riconoscere l’assoluta insensatezza di quanto era accaduto, la fondamentale irriducibilità di ogni guerra alle narrazioni eroiche cui il cinema e certa letteratura ci hanno abituati da tempo.
Prima di pubblicare il libro, Vonnegut fece una promessa alla moglie di un suo commilitone che si era mostrata fredda con lui di fronte all'annuncio di un romanzo su quel che l'autore e Bernard V. O'Hare avevano vissuto in Europa nel '45: quando Mary V. O'Hare - cui il libro sarà poi dedicato - gli disse che in fondo loro erano solo dei bambini, durante la guerra, e che lei non avrebbe mai voluto che altri bambini combattessero guerre, magari incoraggiate da libri e da film, Vonnegut le promise che il suo romanzo sarebbe stato diverso: "Lo intitolerò La crociata dei bambini e non sarà una cosa da Frank Sinatra o John Wayne".
Promessa mantenuta.
Ecco perché Mattatoio n° 5, o la crociata dei bambini è uno dei libri più ferocemente antimilitaristi che siano mai stati scritti.
Ecco perché ancora oggi – soprattutto oggi, quando corre lungo le ossa del vecchio continente una pericolosa retorica guerresca - è bene tornare ad attingere alla saggezza di questo originale, brillante, compassionevole e divertente umanista.
Uno scrittore, Vonnegut, della cui nascita festeggiamo oggi i cent'anni, raccontando qualcosa dell'uomo che è stato e dei suoi tanti, bellissimi libri.
Vonnegut crebbe ad Indianapolis in una famiglia benestante, nonostante suo padre, che era architetto, rimase disoccupato per la maggior parte della Grande Depressione seguita al crollo della Borsa del 1929. Mentre frequentava il liceo, il ragazzo cominciò a scrivere per il giornale scolastico, e avrebbe continuato a farlo anche alla Cornell University, l'ateneo presso il quale si sarebbe laureato in biochimica.
Nel '43 si arruolò nell'esercito. Catturato dai tedeschi, sarebbe stato uno dei pochi sopravvissuti al bombardamento di Dresda.
Dopo la guerra, Vonnegut si specializzò in antropologia all'Università di Chicago, lavorando nel frattempo come reporter. Successivamente, fu impiegato nelle Pubbliche Relazioni nello stato di New York, ma lasciò presto la professione per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura.
Nei primi anni '50, Vonnegut cominciò a pubblicare racconti sulle riviste.
Molte fra queste short stories trattavano temi attinenti alla tecnica, al futuro e allo sviluppo scientifico, cosa che gli sarebbe valsa una fuorviante - quanto da lui indesiderata - etichetta di "autore di fantascienza".
Benché alcuni dei tópoi di genere siano riscontrabili nella prima produzione narrativa di Vonnegut, i suoi romanzi - a partire da quell'esordio formidabile che fu Piano meccanico (Player piano, 1952) sono sorretti da una visione capace di essere nel contempo profondamente disincantata e compiutamente umanista.
La tecnica narrativa postmoderna, di cui Vonnegut è stato sicuramente pioniere e uno fra i massimi esponenti, si è sempre frapposta fra l'autore e la possibilità di incasellarlo con certezza in un "recinto editoriale", prima ancora che letterario.
La seconda prova, Le sirene di Titano, è del '59. Qui, Vonnegut ipotizza con vis comica irresistibile che l'intera evoluzione storica del genere umano non sia che il risultato collaterale della ricerca di un pezzo di ricambio per un'astronave aliena in avaria.
Già a partire da Madre notte (1961), romanzo su un drammaturgo che nella Germania nazista recita in prima persona il pericolosissimo ruolo della spia, Vonnegut molla gli ormeggi e veleggia verso una rotta che - con l'andare degli anni - sarà sempre più sua e solo sua.
In Ghiaccio nove fa la sua comparsa il bokononismo, religione fittizia basata su bugie innocue i cui bonari sacerdoti diverranno inconsapevoli agenti per una catastrofe definitiva.
Nel 1963, l'Università di Chicago conferisce a Vonnegut un Master in antropologia in conseguenza della sua tesi ricavata da Ghiaccio nove. Il libro segna sicuramente uno dei momenti nodali nello sviluppo della voce del narratore, ricco com'è di piani metanarrativi e di richiami all'attenzione sui meccanismi stessi della narrazione, operati da una voce sottilmente ironica che diverrà una delle cifre stilistiche più immediatamente riconoscibili nella narrativa vonnegutiana.
Nel seguente Dio la benedica, Mr. Rosewater (1965), la figura del protagonista - un filantropo decisamente eccentrico - fa la sua prima apparizione quel che diverrà il più noto e ricorrente fra gli alter ego dell'autore: quel Kilgore Trout che abbiamo incontrato come protagonista di Mattatoio, all'inizio di questo approfondimento.
È nel 1969 che il caso Vonnegut mette a soqquadro il panorama letterario americano, garantendo all'autore un posto al sole fra le leve della nuova narrativa americana.
Accade grazie al già citato Mattatoio n° 5 o la crociata dei bambini (dal quale nel 1972 sarà tratto un film e nel 2020 un graphic novel, appena pubblicato in Italia per i tipi di Bompiani).
Modellato sull'esperienza bellica dell'autore, Mattatoio descrive una impietosa parabola antimilitarista decostruendo con intelligente sarcasmo ogni possibile epica guerresca.
I critici finalmente capiscono che nell'arsenale narrativo e concettuale del nostro c'è molto più dell'autore SF - leggermente asimmetrico rispetto al canone fissato da Brown e Bradrbury, certo, ma pur sempre "vendibile" entro quel paradigma - e da allora in avanti Vonnegut diverrà per l'industria editoriale e culturale a stelle e strisce la wild card da calare sul tavolo da gioco del postmoderno quando le puntate si alzano: un autore colto ma mai pedante, non ossessionato dalla ricerca di una voce riconoscibile che - con ogni evidenza - gli è propria e connaturata, scrittore capace di alternare nella sua produzione romanzi-romanzi che non debbano pagare pegno alla strenua quanto vana ricerca del Graal rappresentato dal "GAN" (il "Great American Novel" al cui inseguimento si avvicendano in quegli stessi anni Saul Bellow, Norman Mailer e - di lì a poco - Thomas Pynchon) a racconti e pièces teatrali, più una folta pubblicistica d'intervento, per così dire, che si compone delle trascrizioni (sempre più frequenti) dei discorsi tenuti da Vonnegut pubblicamente, nelle Università o nelle scuole di scrittura, e che affonda le proprie radici nel background scientifico dell'autore, saldandone la solidità positivista con un umanesimo intriso di humour cinico ma profondamente partecipe della condizione dell'uomo americano di fine XX secolo.
Seguiranno La colazione dei campioni. Ovvero addio, triste lunedì, nel quale per la prima volta Vonnegut inserisce nella narrazione i propri disegni, Comica finale. Ovvero non più soli e Un pezzo da galera, a chiusura di un decennio - quello degli anni Settanta - in cui l'autore occupa ormai sulle mappe letterarie uno spazio che non è facile, né opportuno, ignorare.
Nonostante la sua produzione resti cospicua, negli anni Ottanta Vonnegut fronteggia una profonda crisi personale: una forte depressione e un tentativo di suicidio porteranno echi di sé nei romanzi pubblicati fra il 1982 e il 1990: Il grande tiratore, Galapagos, Barbablù e Hocus Pocus, centrato su un professore universitario che diventerà guardia carceraria.
Vonnegut ha scritto diverse pièces teatrali, Buon compleanno, Wanda June (1970), molti lavori di nonfiction (come la raccolta Wampeters, Foma & Granfallons, 1974) e diverse raccolte di racconti. Nel 2005 ha scritto A Man Without a Country: A Memoir of Life in George W. Bush’s America, raccolta di saggi e discorsi inspirati dalla politica americana contemporanea. Una selezione delle sue corrispondenze è stata pubblicata postuma, sotto il titolo Letters (2012).
Tutti i suoi racconti sono raccolti dal 2017 nel volume Complete stories, pubblicato in Italia da Bompiani con il titolo Tutti i racconti.
Vonnegut è stato eletto membro dell'American Academy of Arts and Sciences nel 1973.
Nel 2010, la Kurt Vonnegut Memorial Library è stata inaugurata a Indianapolis.
L'associazione nonprofit, oltre a promuovere l'opera di Vonnegut, offre un centro di risorse culturali e pedagogiche e include un museo, una galleria d'arte e una stanza di lettura.
Per chiudere e tirare le somme di un approfondimento che non può certo essere esaustivo della articolata produzione vonnegutiana (né della sua accidentata e ricchissima biografia, ovviamente), vogliamo citare le sette regole per “scrivere con stile”, così come Vonnegut le ha messe in fila in un articolo composto per la International Paper Company, un’associazione che si prefigge di “migliorare la lettura, la scrittura e la comunicazione negli Stati Uniti”.
1. Trovate un argomento che vi sta a cuore.
2. Tuttavia, non divagate
3. Siate semplici
4. Abbiate il coraggio di tagliare
5. Assomigliate a voi stessi
6. Dite quello che volete dire
7. Abbiate compassione per i lettori
Semplicità. Coraggio. Compassione.
Ecco la formula perfetta che lo scienziato Vonnegut ha cercato tutta la vita, ed è riuscito a sintetizzare mirabilmente nei suoi libri, e non fra becchi bunsen o alambicchi.
Quanto al suo stile... ma come scriveva, Vonnegut?
Bè, diciamo che se essere scrittori vuol dire cercare la massima coincidenza fra quel che si ha bisogno di esprimere e la forma che a quel bisogno si dà, Vonnegut scriveva benissimo.
Era eloquente come quel passero che lo aveva accolto, una volta uscito alla luce dal mattatoio nel quale era rimasto prigioniero per giorni, davanti alle macerie fumanti di una città ridotta come "una superficie lunare", una città nella quale - fino a pochi giorni prima - avevano vissuto, giocato e sorriso uomini, donne e bambini non troppo diversi da lui.
Il passero guardava monconi anneriti degli alberi e le macerie fumanti delle case. In mezzo a quella indicibile devastazione, il passerotto esprimeva tutta la sua perplessità con un cinguettio dalla leggera inflessione interrogativa. “Pii-tu-uit?”, era tutto quel che il passero aveva da dire.
Kurt Vonnegut Jr. da Indianapolis, il figlio del chimico, non avrebbe saputo dirlo meglio, né aggiungere granché.
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