Negli ultimi giorni John Travolta è tornato al centro del dibattito per le note vicende sanremesi, proprio alla vigilia del suo settantesimo compleanno. Decisamente non si meritava (e non ci meritavamo) quel trattamento dal Festival di Sanremo.
Il problema non è la gag in sé ma il modo: non si stordisce un ospite internazionale di quel calibro con dieci minuti di sketch senza metterlo a proprio agio o renderlo partecipe del gioco. Peraltro, alla prima e unica domanda rivoltagli aveva risposto in maniera non banale, condividendo il ricordo della sua visione da bambino di La strada di Fellini. Insomma, i balletti avrebbero potuto essere la ciliegina dopo un’intervista, e non l’intera torta.
Eppure, la verità è che nonostante il ballo del qua qua e lo sponsor occulto (di cui presto ci dimenticheremo), Travolta rimarrà sempre Travolta, la stella capace di entrare nella storia del cinema camminando sulle note dei Bee Gees per le strade del quartiere di Brooklyn all’inizio di La febbre del sabato sera (1977). Pochi personaggi nel cinema possono vantare un ingresso in scena così iconico come il suo Tony Manero (Audrey Hepburn/Holly Golightly in Colazione da Tiffany, Sean Connery/James Bond in Agente 007 – Licenza di uccidere e non molti altri).
Figlio di proletari italiani emigrati a Brooklyn, un giovane trova una compensazione al grigiore della vita di commesso di bottega nell'esaltante frenesia del ballo, cui si abbandona ogni sabato sera.
Dopo la gavetta teatrale e televisiva, e un paio di apparizioni nel mondo horror (tra cui Carrie – Lo sguardo di Satana di Brian De Palma), al suo primo ruolo da protagonista sul grande schermo John Travolta diventò già una star mondiale, mettendo a frutto il talento da attore e da ballerino.
L’impatto iconografico e culturale de La febbre del sabato sera è così forte da offuscare la dimensione cruda e drammatica del film. Il capolavoro diretto da John Badham si è stagliato nella memoria collettiva per le scene di ballo e per il fascino del suo interprete, ma è anche il ritratto disperato di una generazione senza futuro. Tony è un giovane italo-americano che lavora in un negozio di vernici e aspetta solo il fine settimana per sentirsi vivo. La discoteca è il luogo dove evadere dalla mediocrità di un ambiente familiare e un contesto sociale deprimenti, in una New York problematica e violenta, simile a quella di Martin Scorsese in Mean Streets (1973) e Taxi Driver (1976). Come il Rocky di Sylvester Stallone, Tony è un ‘loser hero’ e si riscatta consegnando il premio vinto nella gara di ballo alla coppia concorrente portoricana, ritenuta da lui più meritevole.
Un cult del genere horror, la cui giovane protagonista reclama la sua vendetta in un finale che ha fatto storia.
Attraverso il volto, il corpo e le movenze, Travolta impone con Tony Manero un nuovo modello di mascolinità, dai tratti quasi femminili, un sex symbol “passivo” che allontana le spasimanti preferendo ballare da solo, mentre non è corrisposto dall’unica donna che davvero desidera.
L’anno dopo dimostra pure di saper cantare nei panni di Danny Zuko in Grease (1978), il cult-movie di Randal Kleiser che con leggerezza rivitalizza il genere musical sublimando l’effetto nostalgia per gli anni Cinquanta. I duetti tra John Travolta e Olivia Newton-John incantano e valgono un trionfo da circa 400 milioni di dollari di incassi nel mondo.
Durante le vacanze scolastiche Danny stringe una tenera amicizia con Sandy, una ragazza australiana. Finisce l'estate e le loro strade si dividono. Danny crede di aver perso per sempre Sandy ma, inaspettatamente, se la ritrova al college, dato che anche lei ha deciso di iscriversi alla Rydell School.
Per l’attore sembrerebbe l’inizio di una carriera costellata di successi, ma anche a causa di alcune scelte sbagliate (rifiuta il ruolo che andrà a Richard Gere in American Gigolò) la sua ascesa subisce una frenata negli anni Ottanta. L’unico film di rilievo nel periodo è Blow Out (1981) di Brian De Palma, mentre per tornare a sbancare il botteghino deve attendere la commedia Senti chi parla (1989). Il vero rilancio avviene quando Quentin Tarantino lo sceglie per la parte del gangster Vincent Vega in Pulp Fiction (1994). In stato di grazia, Travolta offre una prova magistrale e divertita, facendo quasi il verso a sé stesso nel celebre balletto con Uma Thurman.
Seguiranno un Golden Globe per Get Shorty (1995), il doppio ruolo in Face/Off - Due facce di un assassino (1997) e una lunga serie di film, spesso dimenticabili. Ma Travolta è la dimostrazione che possono bastare due o tre titoli, purché memorabili, per ritagliarsi un posto speciale nel firmamento del cinema. E ancora oggi, neo-settantenne con una vita alle spalle segnata anche da tragedie private (come la morte della moglie Kelly Preston e del figlio), ci piace ricordarlo come il giovane Tony Manero, seduto sulla panchina di fronte al ponte di Verrazzano, mentre guarda al futuro tra speranza e incertezza, con gli occhi appena bagnati dalle lacrime. Coraggio Tony, «il futuro è stasera».
Le vite di una coppia di sicari di bassa lega (John Travolta e Samuel L. Jackson), della moglie sexy del loro capo (Uma Thurman), di un pugile disperato (Bruce Willis), di uno spacciatore e di una coppia di rapinatori si intreccianno in una serie di eventi imprevedibili e ed esilaranti.
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