Negli ultimi due o tre anni, nell'ambiente musicale italiano, la parola "indie" è stata associata al nuovo cantautorato pop della Generazione Z, a volte influenzato da metriche e sonorità di derivazione rap. Giustamente, c'è chi non ha mai accettato la nuova attribuzione di questa definizione, soprattutto gli appartenenti alla Generazione X e a quella successiva, che associano la parola “indie” alla scena rock alternativa, che si è sviluppata verso la fine degli anni ’80 e ha goduto sia di buona salute sia di molte attenzioni fino ai primi anni del 2000.
“Volevo Magia” è un album perfettamente in stile Verdena: inequivocabili i riff di Alberto Ferrari, il basso di Roberta Sammarelli e il sound di batteria di Luca Ferrari. Dal 1999 al 2022, sempre fedeli a se stessi.
I Verdena si sono formati in mezzo a questo arco temporale, nel 1995, nel pieno di quest'ondata storica per il rock alternativo, la stessa in cui sono nati – per citare alcuni stili familiari al trio della provincia bergamasca – il grunge, lo shoegaze e lo stoner rock. L'uscita di Volevo Magia (Capitol Records Italy / Universal Music), che avviene sette anni dopo il loro precedente album, Endkadenz (diviso in Vol. 1 e Vol. 2), ha anche l’effetto, quindi, di aiutare a rimettere al suo posto l'accezione del termine “indie” dalle nostre parti. Perché, insomma, anche se i musicisti di solito non sopportano le definizioni, ascoltando le 13 canzoni del disco parlare di indie rock è più che mai lecito.
Il primo album da quarantenni dei fratelli Alberto e Luca Ferrari e di Roberta Samarelli, infatti, suona come un saggio atto di fedeltà alle loro origini musicali. Niente di nostalgico o fuori dal tempo, semplicemente il trio continua a lavorare sulla gamma sonora che conosce meglio e su cui, proprio per questo, può spaziare maggiormente. Non a caso i brani alternano atmosfere allegre e leggere, come la traccia d’apertura Chaise Longue, ad altre rabbiose, per esempio Crystal Ball e la title-track Volevo magia, passando dalla riflessiva Sui ghiacciai fino a un sentimentale finale, Nei rami. A far tendere le canzoni verso questi umori e tutte le loro sfumature è l’impasto tra il solido impianto chitarra-basso-batteria e la voce torbida di Alberto Ferrari che declama testi per lo più oscuri (caratteristica classica, e spesso dibattuta, della band). E anche se i tre hanno svelato di aver lavorato ai brani di questo disco partendo da dei loop, come si sente chiaramente in Pascolare, in più passaggi si percepisce anche l’esigenza di non accomodarsi su un andamento troppo lineare, come mostrano esplicitamente, per esempio, l’inserto “pop” che precede l’esplosione rumorosa con cui si chiude Volevo magia e il finale a sorpresa – “robotico” e disturbato – di Cielo super acceso.
Volevo magia è un album indie rock di una band che fa musica senza lasciarsi condizionare dalla frenesia del mercato musicale di oggi, in Italia dominato dal rap e dai suoi sottogeneri o parenti che ogni settimana partoriscono decine di uscite. Il fatto che la risposta di pubblico e critica sembri proprio voler dire che si sentiva la mancanza dei Verdena, dà al trio ancora più autorevolezza, la stessa di cui hanno sempre goduto i punti di riferimento di una scena musicale.
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