Un libro partigiano per raccontare i partigiani

Inutile girarci attorno: Cichero, storia e memoria di una divisione partigiana è un libro partigiano, in più di un senso.

Partigiano ovviamente perché racconta, attraverso una rigorosa ricostruzione storica, le vicende della lotta di Liberazione nell’entroterra ligure attraverso la travagliata vita della Cichero, che nasce banda di ribelli e cresce fino a diventare una delle divisioni Garibaldi.

Partigiano anche perché concentrato su una parte in particolare, quella del complesso e variegato fronte antifascista che prese parte a quelle tre guerre – di cui una è raccontata dallo storico Claudio Pavone – vale a dire la guerra patriottica, quella civile e quella di classe. Il racconto di una parte che però non è “di parte”, né tanto meno “parziale”, bensì prospettico.

Partigiano soprattutto perché Tommaso Baldo, il suo autore, dei toni e dei modi dell’antico racconto partigiano conserva per buona parte del saggio la cadenza, riuscendo in un’operazione spesso rischiosa per chi maneggia le fonti del passato: lasciarne intatta la forza narrativa senza farsene travolgere a livello retorico.

È proprio in questo esperimento narrativo e analitico a un tempo che sta probabilmente il punto di forza di Cichero, che si snoda in maniera estremamente leggibile tra fonti primarie come trascrizioni di proclami, articoli e comunicati ufficiali, e analisi di raccordo frutto di una più ampia disamina di scritti e testimonianze. Il tutto impalcato in una struttura retorica che rende il testo un esperimento da tenere in considerazione anche da parte di chi si occupa di metodologia della ricerca storica: il ritmo narrativo infatti, incastonato di “passaggi d’epoca”, rimane per tutto il tempo fruibile anche per un pubblico non specialistico. Scelta che ne fa, più che un saggio storico, uno di quegli “oggetti storiografici non identificati” che possono contribuire più e meglio di altro alla diffusione della conoscenza storica.

In capitoli come Come e da chi è stata raccontata questa storia, l’autore affronta uno dei temi più complessi, e quindi a volta disertati, dell’analisi storiografica, vale a dire la questione della costruzione della memoria pubblica attorno ai fatti storici narrati. Una memoria che in questo caso si intreccia a doppio filo con la difficile ricostruzione memoriale del periodo resistenziale già nell’immediato dopoguerra, offrendo al lettore non solo uno sguardo sul susseguirsi della fattualità storica ma anche una visione del processo di sedimentazione di questa fattualità nel contesto sociale posteriore ai fatti. Una prospettiva che cerca di riunire i punti di forza della scuola microstorica a quelli della storia della mentalità. Tentativo più che mai utile oggi nel caso della Resistenza italiana e dell’ormai quasi trentennale processo alla memoria a cui essa viene sottoposta.

Non leggetelo se siete ancora di quelli che credono che storiche e storici debbano essere “neutri”, perché questo è impossibile; storiche e storici devono, soprattutto e innanzitutto, essere sinceri.

Non leggetelo se siete affezionati a una certa visione manichea del racconto resistenziale: la Resistenza ebbe molte facce, e molti colori.

Non leggetelo se siete di quelli che giudicano i saggi dal numero di note: questo (per fortuna) non ne ha.