Quando un giovane guerriero viene ucciso e giace squarciato dal bronzo aguzzo, tutto gli si addice; e tutto ciò che si vede in lui, anche se è morto, è bello
Una delle cose che più mi hanno colpito delle lezioni del liceo è stato quando, in quarta ginnasio, la mia professoressa di greco ci raccontò del litigio tra Achille e Agamennone. Per me l’eroe greco aveva le sembianze di Brad Pitt e il re degli achei di un non meglio definito attore panciuto e con la barba. Ma più che il racconto degli eventi dell'alterco, mi folgorò il gesto che la mia insegnante fece per mimare ciò che stava succedendo nel poema: Agamennone offende Achille a tal punto che il semidio sta per tirare fuori la spada in un impeto di furore per regolare i conti con il re. In quel momento – e qui sta il gesto che mi ricordo ancora oggi – Atena arriva alle spalle di Achille e lo prende per i capelli tirandolo a sé, placandone la foga.
Improvvisamente mi fu chiaro ciò che sentivo quando volevo combinare qualche marachella e mi frenavo: non era buon senso, perché io le mie stupidaggini le avrei pure fatte, ma era Atena che arrivava e mi prendeva per i capelli. Lì lì per combinarla, a volte riusciva a trattenermi, a volte non era abbastanza veloce. Perché i giovani sono, ed erano ai tempi di Omero, così, irruenti, entusiasti, appassionati. Per frenarli non bastano le prediche dei genitori: ci vuole una dea che li acchiappi per i capelli prima che sia troppo tardi.
Sei ritratti di giovani greci provenienti dalla mitologia, dalla tragedia e dalla storia, per capirne le abitudini, il carattere e i modelli cui guardavano per crescere. Un saggio che si mescola al racconto delle origini e che analizza una parte spesso lasciata in ombra della Grecia antica.
Al di là della nota biografica, il libro di Laura Pepe parla di questo: dell’essere giovani in Grecia, di cosa significava e di com’era percepita la giovinezza. Per capire quale idea se ne avesse, Pepe parte, com’è ovvio, da Omero – tutto comincia da lì – in un confronto tra Achille e Telemaco, due personaggi che incarnano un aspetto fondamentale della gioventù: l’essere figli. Poi passa alla tragedia, con Oreste e Antigone, e poi alla storia, con Alcibiade e Alessandro. Tre coppie per raccontare l’esuberanza e l’eccesso di un’età sempre in rapporto con altro, alla continua ricerca di un posto nel mondo. E un intermezzo dedicato all’amore, il sentimento per eccellenza dei giovani, che non lo conoscono e ne sono travolti o ne sono oggetti inconsapevoli.
Arriva per tutti una stagione dell’esistenza in cui eros, l’amore passionale e viscerale, giunge per travolgere; […] in cui bisogna vivere eros, da amanti e da amati, perché senza eros quel tempo sarebbe incompiuto. Come per Achille e per Pentesilea, il tempo – naturalmente – è la giovinezza
Pepe fa incontrare la storia e il mito, assumendo che i racconti epici e tragici siano uno specchio della società greca. Un intreccio che fa emergere il mondo eroico e tracotante dei giovani, la loro inesperienza nei fatti della vita e, soprattutto, la loro passione. Le storie raccontate parlano tutte di un’educazione, riuscita o disattesa che sia, come per Achille, che baratterebbe la sua vita breve e gloriosa con quella di un porcaro, o per Oreste – tragico, non mitico –, salvato dalla giustizia dell’Areopago. E come per gli innamorati, che ricevono un’educazione sentimentale dagli adulti per essere introdotti al mondo di eros.
Da lì, dalle storie dei giovani, si dipanano poi le digressioni sulla cultura greca. La dike antica della vendetta privata scalzata dalla giustizia del tribunale; la diffidenza tutta ellenica verso l'uomo forte al comando che inizia a venir meno prima con Alcibiade per poi scomparire con Alessandro; la (misera) considerazione della donna e della madre. E poi le pagine meravigliose e sorprendenti su Antigone, la giovane eroina che rinuncia alla propria vita per le leggi non scritte in cui crede, ma che forse nasconde un lato più reazionario di quanto pensiamo.
Proprio perché giovane donna, Antigone rappresentava per i Greci quanto di più distante potesse esserci dalla politica, che era provincia esclusiva di uomini adulti
Lo scopo di questo libro, però, non è educare noi lettori. Non sembra nemmeno volerci insegnare qualcosa di nuovo: la sensazione è che Laura Pepe avesse voglia di scrivere una storia, quella della giovinezza. E che per farlo si sia servita dei racconti più belli che abbiamo a disposizione, quelli greci, dove i giovani erano ancora – non ci sono più i giovani di una volta – entusiasti ed eroici, pronti a schiantarsi contro un destino nefasto pur di dar gloria al proprio nome. Pronti a sfidare un re, se necessario, trattenuti solo dalla mano di una dea che li prende per i capelli.
Tutto ciò che fanno lo fanno in eccesso: amano in eccesso, odiano in eccesso. Convinti come sono di sapere tutto […] ciò che li domina è hýbris: quella sensazione di dismisura e di insolente onnipotenza che li fa pieni di sé, incuranti degli altri, pronti ad abusare di quella forza di cui abbondano per dono dell’età
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