Diceva Spinoza nell’Etica che l’uomo è un animale in cui a farla da padrone è il desiderio, più che la razionalità. Il desiderio, scriveva il filosofo, può diminuire o aumentare. E la diminuzione è causata da ciò che lui chiamava passioni tristi, le passioni che ci opprimono. L’odio, la gelosia, la scontentezza sono sentimenti deprimenti, abbassano il nostro potere di esistere, ci precludono la possibilità di sperimentare la gioia.
«Non è la rabbia né l'odio e nemmeno il narcisismo, come invece si sente ripetere, la molla che spinge verso un atteggiamento negativo e ribelle, ma qualcosa di più profondo che li precede. Si tratta di uno stato d'animo personale ed epocale, che solo dopo muta in protesta e in rancore: la scontentezza».
Si può replicare? Spinoza sostiene che si può. L’amore per la Natura – e quindi per noi stessi – ci salva. Quelle passioni quindi non si possono cancellare, ma si possono elaborare, se insieme a esse ne attiviamo altre che siano capaci di esprimere il potere di vivere e la gioia. Laddove la gioia si connette con il capire. Il farmaco è, dunque, comprendere con passione.
Non sembra la ricetta adottata da Marcello Veneziani nella sua lunga e appassionata riflessione sul senso del tempo in cui viviamo, a suo avviso incardinato intorno a una condizione collettiva (individuale e generale) di scontentezza.
Gli scontenti sono gli insoddisfatti del presente, che non accettano la sconfitta o la recessione del proprio mondo. Qui avvertiamo l’eco di Oswald Spengler non meno del fascino per Julius Evola (da sempre nel pantheon della destra radicale italiana). Insieme coabitano con l’antiamericanismo di Slavoj Žižek e di Aleksandr Dugin, accomunati da una visione sovranista della politica. Il secondo (una delle voci più ascoltate da Vladimir Putin) corazzato anche di una convinzione complottista (un tratto trendy in questo nostro presente).
Visione che rivendica potere e in spasmodica ricerca tanto di un nuovo ordine quanto di un «capo» a cui affidarsi.
Lo scontento – condizione mentale e culturale profonda che Marcello Veneziani descrive con precisione e corteggia con affetto – si presenta come la domanda di potere trasversale a tutte le età.
Il bambino è scontento perché non ha quel che desidera. Il ragazzo è scontento perché non fa quel che vorrebbe. L’adulto è scontento perché non è quel che crede di essere. Il vecchio è scontento perché non è più quello di una volta. Avere, fare, essere, perdere: le quattro stagioni dello scontento
Scontenti, è un ritratto affascinato e simpatetico di una condizione prossima agli «sdraiati». Figure che, dalla loro posizione, sembrano vedere cose che gli altri non vedono.
Il domani sarà loro?
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