Sulle buste Feltrinelli può esservi capitato di leggere una citazione di Bob Marley che dice: «La musica colpisce e non fa male».
È una frase alla quale ho pensato istintivamente leggendo Quando il rock si chiamava pop e non solo perché uno degli autori è lo storico libraio Feltrinelli Roberto Ceresini, ma anche e soprattutto per il senso di onestà e passione che le parole di Marley mi hanno sempre trasmesso e che ho ritrovato in questo saggio pubblicato da Arcana.
Un gruppo di amici che parla di musica, anzi, del periodo d'oro della musica: dai Beatles ai Rolling Stones, ai Led Zeppelin, in questo libro c'è tutto il rock di cui abbiamo bisogno. E un unico filtro: l'emozione e la passione per la musica.
È proprio questo spirito ad avermi colpito, cinque amici, esperti musicofili, che, dopo aver condiviso decenni di ascolti, opinioni ed esperienze, decidono di scrivere della propria passione attraverso il filtro più onesto, motivante e autorevole che ci possa essere: il gusto personale. In base alle proprie competenze, e ognuno con una voce perfettamente distinguibile, ci parlano di Abbey Road dei Beatles, Beggars Banquet degli Stones o Rumours dei Fleetwood Mac, riuscendo ad aggiungere parecchio laddove potevamo pensare si fosse detto già abbastanza.
I dettagli che riguardano una copertina, le storie dietro le produzioni, le sfumature di un testo, il contesto sociale o le condizioni personali dell’artista sono tutti elementi che contribuiscono a rendere certi album ancora più importanti. Particolarità che mi è inevitabile associare all’ascolto su vinile, fatto di contemplazione, dedizione, ritualità. Un ascolto reale che spinge a valorizzare, conoscere e condividere (per registrare una musicassetta si doveva inevitabilmente far suonare un album per intero, il che significava a tutti gli effetti un ascolto dedicato al destinatario del nastro).
…in quegli anni la musica esprimeva molte cose e anche concetti sociali, politici se volete, ma negli anni Settanta c’era il tempo di ascoltare collettivamente e giudicare e poi scambiarsi gli album, quindi una visione molto più condivisa… La qualità della musica era elevata, sicuramente più dell’odierna
Oltre agli artisti più famosi, abbiamo l’opportunità di conoscere gruppi meno noti come gli East of Eden o i Moby Grape (che, non me ne vogliano, sono andato immediatamente a cercare su Spotify), di riscoprire pubblicazioni come i Derek and the Dominos di Eric Clapton o di approfondire l’ascolto dei Funkadelic di George Clinton.
Gli articoli scritti a quattro mani da Franco Bolsi e Orietta Vallon, poi, sono uno spasso: due generazioni a confronto che non se le mandano a dire su Fleetwood Mac ed Electric Flag: «La soggettività nell’esprimere giudizi è ciò che guida chiunque ciacoli di musica. Mica stiamo parlando di Mozart e il contrappunto o di tecnica compositiva. Mai più che mai It’s only Rock & Roll but we like it».
Eventi, esperienze, percorsi di vita sono in qualche modo connessi a certe canzoni, ed è un piacere leggere aneddoti e situazioni personali che i nostri hanno legato indissolubilmente a un artista, a un brano, a un concerto: i Genesis nel loro primo tour italiano in un dancing club di provincia alle quattro del pomeriggio; Miles Davies a Verona durante la naja; una spedizione per un concerto dei Rolling Stones partita da «Quel bar di periferia a mezza strada fra la via Emilia e il West»; o il primo ascolto da un jukebox di Whole lotta love dei Led Zeppelin nel ’69:
…rimango affascinato dalla voce, dalla chitarra usata in modo assolutamente primitivo per me. È fantastico, devo assolutamente sapere e capire chi sono, come fanno a ottenere questi suoni. Allora parte la mia ricerca, in edicola scopro una rivista, «Ciao 2001», che leggerò per diversi anni, anche perché́ era l’unica in quei tempi a parlare di rock, c’era mica Internet come adesso, c’era solo quella e una gran voglia di ascoltare, e anche di conoscere altri che come me erano attratti da questi suoni nuovi.
Quando il rock si chiamava pop ci dice che la musica non è solo musica e basta: influenza singole vite e società, segna momenti ed epoche, cementa amicizie e definisce identità. È gusto, interpretazione, emozione. Perché la musica non è fatta solo dagli artisti, ma anche da chi la ascolta.
Insegnare l’ascolto, e non il consumo, dovrebbe essere il compito di chi lavora in questo campo; educare. Allora gli East of Eden piacerebbero sicuramente anche ai giovani di oggi. Ascoltateli quindi, i loro album sono disponibili, vi porteranno in luoghi mistici ed esotici, stando a casa vostra
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