Ed era proprio lì che stava andando, in quella tarda mattina piovosa di un aprile autunnale; il suo quinto inverno dall’altra parte del mondo si approssimava, e il pubblico sarebbe accorso incuriosito dall’enigmatica artista italiana che osava interpretare il tango
Inizia con Laura Caminito, con la sua nuova vita e la sua vecchia musica.
Le cose belle finiscono tanto quanto quelle brutte, lo sappiamo. Quando si erano sparse voci su una possibile fine del commissario Ricciardi, non ci avevamo creduto. E bene abbiamo fatto, perché Maurizio De Giovanni (che, a proposito, abbiamo intervistato qualche tempo fa) è tornato a dannarsi con lui e con noi.
È il 1939, sono trascorsi cinque anni da quando l’esistenza di Ricciardi è stata improvvisamente sconvolta. E ora il vento d’odio che soffia sull’Europa rischia di spazzare via l’idea stessa di civiltà. Sull’orlo dell’abisso, l’unico punto fermo è il delitto. Fra i cespugli di un boschetto vengono ritrovati i cadaveri di due giovani, stavano facendo l’amore e qualcuno li ha brutalmente uccisi.
È il 1939 ed è aprile quando il maestro Caputo fugge in un prato lontano da casa sua, si nasconde sotto a un albero e dentro un foglio di giornale custodisce le nespole rubate.
È sempre il 1939 ed è sempre aprile quando il maestro Caputo è attirato da un lampo rosso e azzurro in un cespuglio. Un animale? Un gatto forse?
A fatica, con la gamba offesa dalla guerra, il maestro si avvicina curioso, senza fare rumore. Una ragazza sdraiata e un ragazzo sopra di lei, stanno sicuramente facendo l'amore.
Eppure, in quell'amplesso c'è qualcosa di strano e inquietante. I minuti passano. Uno, due, tre e nessuno si muove. La ragazza osserva estatica Caputo, con gli occhi spalancati e un sorriso.
Ma non è un sorriso il suo, è uno squarcio intorno al collo. E l'uomo biondo su di lei prima biondo non era. Il color bruno che da lontano il maestro ha osservato è solo sangue, molto sangue.
Al centro del prato, nell’ombra di un albero, c’erano due che facevano l’amore. O meglio, c’era il gruppo scultoreo di due che facevano l’amore, perché erano fermi. Il prato, i fiori, le foglie, l’immobilità dei due, la scena inquadrata nella sezione di siepe spostata dalla guardia Esposito che teneva la testa girata all’indietro per non vedere: tutto dava l’impressione di essere davanti a un dipinto dell’Ottocento inglese
Non entra in scena cosi il commissario Ricciardi, l'uomo insofferente agli ordini, mal sopportato dai suoi superiori, ma temuto per il suo carattere introverso ed enigmatico.
Entra in scena qualche capitolo prima, di fronte a una panchina. Più che una panchina, un basamento di qualcosa di sconosciuto. Non penso che descrivere minuziosamente la trama di Caminito sia necessario in questa sede. Riportando indagini, indizi, avvenimenti e scene particolari non farei altro che spezzare un ritmo, quello del tango di Gardel, alla base di questo giallo.
Penso, invece, che da quella panchina si dovrebbe partire per scandagliare l'animo di un uomo che ci ha saputi conquistare con il suo sguardo oltre la realtà. Ricciardi, lo sappiamo, è un commissario particolare, dotato di un intuito straordinario. Ma è un uomo dannato, dannato e condannato.
Condanna, sì. Perché vedere i morti per fatti violenti nell’istante che restituiva la loro ultima emozione, e cogliere il loro ultimo pensiero, le loro ultime parole ripetute senza sosta, era null’altro che una condanna. Ricciardi caricava su di sé tutta la sofferenza di quei morti, la sorpresa, la rabbia, l’amore, la malinconia. Non si sarebbe mai liberato di quel dolore oscuro che da sempre lo perseguitava e che adesso si sommava a un dolore ancora più atroce
È il 1939 ed è aprile quando sono passati cinque anni dal momento in cui la vita di Ricciardi è stata improvvisamente sconvolta.
Nel dolore per la perdita della moglie Enrica, nella fatica e nella paura di crescere Marta da solo, il commissario è costretto a indagare sulla morte dei due giovani, brutalmente uccisi dietro a un cespuglio di fiori bianchi.
Ragioni oscure dietro a queste morti. Fantasmi, non solo quelli di Ricciardi, ma anche quelli della politica.
E in tutto questo la figlia Marta che, pur essendo così simile a sua madre, con i suoi occhi neri e profondi, rischia di aver ereditato la dannazione del padre.
Consiglio questo libro a chi ha amato Ricciardi in tutte le sue forme.
Consiglio questo libro a chi ha letto anche il De Giovanni non Ricciardi, come L'equazione del cuore o Una sirena a settembre.
Ma consiglio questo libro soprattutto a chi non ha paura di vedere e sentire i morti, a chi con il passato ha un legame profondo e a tutti quelli che seduti su una panchina sanno parlare con il vento di primavera.
Arrivederci, mio dolcissimo amore, sussurrò. E si avviò nell’aria profumata della primavera.
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