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Poesie di Giorgio Manganelli

Ma Manganelli non era un critico?

Prendendo in mano il volume Poesie, edito da Crocetti, è questo il primo pensiero che ho avuto. Mentirei credendo in quello che vi ho appena scritto, perché il Manganelli poeta lo conoscevo già prima di conoscere questo libro, e lo conoscete anche voi se avete letto il nostro approfondimento.

Poesie
Poesie Di Giorgio Manganelli;

L'errore fu nascere sotto lo Scorpione, o in opposizione di pianeti infausti: o forse l'errore fu nascere, nient'altro.

Evidentemente, però, non tutti lo ricordano poeta, altrimenti Federico Francucci, nella sua postfazione al volume, non avrebbe scritto “Abbiamo scoperto qualche anno fa l’esistenza di un Manganelli poeta”.

Che ce ne dobbiamo fare di queste poesie? 

Maneggiare una raccolta come quella di Poesie non è facile, è un po’ come usare il Rocci o l’IL le prime volte. Una perdita di strada continua. Eppure, il Manganelli speleologo e archeologo della letteratura si è fatto riconoscere anche con i suoi versi.

Giorgio l’avevo amato con la sua Hilarotragoedia, Centuria, Pinocchio. Un libro parallelo. Giorgio l’ho scoperto anche con La mia pace meccanica, asciutta, con Io mi divido, parole che hanno modificato e arricchito l’immagine che avevo di lui.

Una nuova scoperta, quindi, quella di questi versi che vengono dall’archivio di Lietta Manganelli, figlia dello scrittore, e sono maneggiati da Daniele Piccini, attento a una cura filologica nelle note ai testi. Quelle che leggiamo sono “prove di scrittura” di Manganelli, ripartite in tre sezioni: Poesie, Altre poesie e Poesie giovanili.

Osservando il, relativamente, piccolo volume di Crocetti non sappiamo subito di trovarci davanti alla quasi integrale opera in versi di Manganelli. Ma è un’informazione che, sebbene non ci venga fornita (a meno che non si leggano introduzione e postfazione), troviamo inconsciamente alla fine del testo.

Poesie è un viaggio nel Manganelli poeta, un autore colto, erratico, disperatamente alla ricerca di se stesso. Come il suo burattino, anche Manganelli si butta, sbaglia, impara. Sperimenta il neoclassico, il postmetrico, poi cambia e prende una via diversa.

È dai 35 anni che, dopo una crisi, i versi diventano più aridi, senza sentimentalismi, spesso e volentieri sarcastici. Forse sono questi i versi più faticosi, sia per chi li ha scritti, sia per chi li legge. Sono poesie che ci guardano dritti negli occhi in maniera ostile. In esse ho letto ossessione, per la morte e per il sesso, fantasmi e putrefazione.

imparo a memoria
una imprevedibile chiarezza
dentro il mio corpo che decade

E forse questo tormento, la continua trasformazione, l’impossibilità di trovare un punto fermo sono semplicemente spie dell’angoscia che sempre ha spinto e infestato Manganelli.

È un inferno privato quello di Giorgio, una prima persona ingombrante, un io parlante che dà ancora per scontato che il lettore esista, sia lì a leggerlo. E, soprattutto, che gli creda. 

Io ho per le mani
una certa quantità d'amore
che non mi riesce di collocare;
fu bestia già rissosa e calda;
ora in quella, già sclerotica,
s'impaccia l'anima;
oggetto greve, risibile, punto funzionale,
grossa scatola, o scardinata macchina,
abat-jour sfasciato, goffo soprammobile
deforme per polvere, corrotto.
La triste decadenza del corpo
lo fa poi rancore, ira, demenza.

E poi arrivano gli anni ’60, con le Altre poesie, gli anni di una forma più libera che non scrive “per scrivere strutture”. Poesie che si aprono a invettive sulla contemporaneità e a deformazioni grottesche. Il mirabile incontro con la quotidianità di Manganelli.

La visione satirica che prima ci aveva colpito con ostilità diventa ora portatrice di divertimento per noi lettori che riscopriamo un po’ del Manganelli prosatore anche in questi versi.

Ma ciò che più mi ha affascinato di Poesie è il potente carattere di incuria formale che la poesia manganelliana ha. Il non-finito dei versi.

Ed è proprio da questo ultimo punto che elenco i “chi” ai quali consiglio questo libro.

A chi non si spaventa di fronte a un’edizione (non proprio) critica.
A chi ama il non-finito, non finito non perché senza una forma, ma perché senza una fine.
A chi questa fine la ricerca trasformandosi e sperimentando.

D’altronde, in un’anima infestata da fantasmi come quella di Manganelli, l’appagamento di un’unica forma non è mai stato un luogo sicuro. Il luogo sicuro è l’esplosione dall’interno, quell’ossessione dall’angoscia che non frena, ma mette in moto.

Buona lettura a tutti i coraggiosi che sapranno prendere in mano questo volume e dire "Non ho paura dei fantasmi di una mente".

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Conosci l'autore

Giorgio Manganelli è stato uno scrittore e saggista italiano. Fece parte del Gruppo 63. La sua vita inizia il 15 novembre 1922, in via Ruggero Boscovich numero 4 a Milano che, se cercate su Google Maps, non c’è. Ed è così che la vita di chi ha amato, e studiato, le cose che non esistono inizia proprio in una casa che non esiste.Vissuto ai suoi tempi per lo più come un outsider, un trickster se non proprio un «teppista», oggi è considerato un classico della nostra letteratura. Collaborò al "Corriere della sera" e ad altri quotidiani, raccogliendo poi gli articoli pubblicati nel volume "Improvvisi per macchina da scrivere" (1989). Autore di saggi come "La letteratura come menzogna" (1967), "Angosce di stile" (1981), "Laboriose inezie" (1986), ha scritto anche reportages come "La Cina e altri orienti" (1974). Nelle sue opere narrative, caratterizzate da una scrittura barocca, è rimasto fedele a un'immagine manieristica della letteratura, come costruzione artificiosa di un mondo surreale. Tra i titoli: "Hilarotragoedia" (1964), "Agli dei ulteriori" (1972), "Centuria" (1979, premio Viareggio), "Discorso dell'ombra e dello stemma" (1982), "Tutti gli errori" (1987), "Rumori o voci" (1987), "Encomio del tiranno" (1990). Postumi sono usciti: "La palude definitiva" ed "Esperimento con l'India" (1992) e "La notte" (1996).«Pietro Citati lo definì una volta un “malinconico tapiro”, per quel suo aspetto poco antropomorfo, la sua tendenza alla pinguedine e con gli occhi allarmati, come se fosse circondato da pericoli. Ma forse non è così assurdo pensare a Manganelli come a un animale. Uno scrittore che, per scavare nei meandri della letteratura e della critica, si fa lombrico, talpa, un Gregor Samsa reale.»

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