Questa continua precarietà costituisce la bellezza di tutta la nostra storia. Ma non so in che modo tenga a me. Dire «attraverso i sensi» non significa niente. Sarebbe, in ogni caso, la maniera più bella, la più vera, la più chiara
Annie Ernaux sul finire degli anni '80 intrattiene una relazione con un uomo sposato, S., conosciuto a Leningrado e con cui porta avanti una storia in Francia per più di un anno. Perdersi (L'orma) è il racconto puro di quella passione, di quell’amore, privato del filtro della narrativa – come avvenuto in Passione semplice che trae le basi da questa vicenda – e abbandonato alla verità dell’essenza diaristica.
Tra il settembre del 1988 e l’aprile del 1990 una donna trascrive sul suo diario la passione totale e incondizionata che sta vivendo per un uomo, un diplomatico sovietico di stanza a Parigi col quale ha iniziato una relazione durante un viaggio in URSS.
Perdersi è un titolo ambivalente, un titolo che sa e che non sa, che implica, deduce, allude, dichiara e abbandona. È una forma impersonale, che si appaia con l’infinito ma cerca comunque una qualche dimensione di declinazione: un riassunto perfetto. Un impersonale che taglia le cose e le introduce, frasi secche, uso di infiniti e raramente imperfetti. Se i tempi verbali sono un passo di ciò che una narrazione è, questa sa di un tempo traditore, che, a dispetto del suo nome, si arresta.
La mia schiena contro il muro, il buio (non vuole luce), la comunione
Ernaux entra in questa relazione come si entra in una stanza che non si conosce, cercando l’interruttore, nonostante la luce possa ancora bastare, nonostante sia così lieve da lasciar intravedere le linee dei mobili, i loro perimetri, gli angoli da evitare, il morbido da cui farsi accogliere. Ecco, questo riecheggia sempre, per tutto il tempo, la consapevolezza di sapere che silhouette avrà questo gioco a due, non intuirlo e basta ma delinearlo. Eppure, continuare.
Cercavo, in continuazione e in maniera estenuante, anche mio malgrado, di decifrare i caratteri cirillici delle insegne e dei cartelloni pubblicitari. Ero stupita di conoscere quelle parole, quell’alfabeto. L’uomo per cui le avevo imparate non esisteva più in me e che fosse vivo o morto era la stessa cosa
L’esperienza più latente è legata a una qualche forma di postura che si assume spesso leggendo Ernaux. Quella di sentirsi di troppo. Esserci e non volerlo, assumere comodità davanti a pagine di dolore e furente e incontrollato ardore che non sono propri, quella sensazione che non dovrebbero essere lì, per te, non per la loro entità, non per la portata della loro possenza. L’amore degli altri indispone, rende scomodi e, nonostante questo, punta i gomiti per essere letto. E questa è un’ingenuità che l’autrice non commette.
Così, siamo partecipi di questa frenesia tumultuosa dell’amore incallito, dell’amore desideroso, dell’amore che non può assistere all’attesa, non può sopportare il mancato incontro, l’amore che blocca gli arti e impedisce lo svolgersi del quotidiano. L’amore che impara altre lingue pur di convincersi che possano bastare per la completezza del rapporto, che basteranno per convincersi a esistere meglio, a darsi un tempo presente che, in fondo, non si vuole, che rovinerebbe la purezza del nascosto, piegherebbe le dimensioni delle stanze, deformerebbe i letti, piegherebbe le ombre.
Un uomo, l’amante nell’ombra, come lo descrive Ernaux, che giace nelle lenzuola, che mistifica il corpo, l’essenza della scrittrice, sguscia fra la luce, evita le risposte e non pronuncia. Non dice. Ombra che rimane sempre e che, convinto in sé – nella sua entità d’oscuro, sparisce senza dire le parole, lasciandole, anche esse in un non tempo, sospese ad aspettare che si pieghino a una lingua straniera e dicano l’essenziale. Ma la passione, a volte anche infantile, incorporea, agognata, edulcorata, non conosce le parole ma nutre l’amore e la morte di chi scrive. E questo, una scrittrice, per salvarsi e condannarsi, può decisamente farselo bastare.
Ha detto «amore mio» una volta, ma «ti amo» non lo dirà, e ciò che non viene detto non esiste
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